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I robot si danno all'arte

I robot si danno all'arte

01 Giugno 2021 Carlo Mazzucchelli
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Si chiama Ai-Da ed è il primo robot umanoide artista, la prima intelligenza artificiale che dipinge e ha già raggiunto le sale di esposizione del Design Museum di Londra. La sua creatività è frutto di calcoli computazionali, algoritmi 'intelligenti' custoditi in microchip. Il suo talento risiede in un algoritmo. Un algoritmo che non si fa carico soltanto di gestire le sue braccia robotizzate ma le guida creativamente a esprimersi nel disegnare ciò che vede, grazie alle telecamere inserite negli occhi. È più di un robot, Ai-Da, una vera e propria pittrice, anzi la prima umanoide artista, capace con le sue opere di guadagnare quasi due milioni di franchi.

Ai-da non è nuova sulla scena artistica. Affonda le sue origini in anni di ricerca e sviluppo e oggi celebra il suo successo con esibizioni museali e con un'agenda piena di impegni, forse molto più di quanto non lo siano le agende di molti artisti, bravi ma che faticano ad attirare l'attenzione degli algoritmi e del pubblico.

"Cosa farà l'uomo per non essere disumanizzato dalla macchina, per dominarla, per renderla moralmente arma di progresso?" - Ungaretti, La civiltà delle macchine 1953

Le opere di Ai-Da hanno già raggiunto quotazioni milionarie, e a Cambridge nel 2019 le è stata dedicata anche una retrospettiva. Per Aiden Meller, direttore della Barn Gallery, "si tratta di una nuova voce nel mercato dell’arte. La mostra - dice - è andata esaurita, rappresenta un successo incredibile. Un segno di tempi nei quali le intelligenze artificiali stanno penetrando in ogni ambito di vita e disciplina e grazie ai loro algoritmi di deep learning e machine learning stanno dimostrando quanto sia forte l'accelerazione della loro evoluzione. 

Le IA fanno parte ormai stabile dello storytelling mediale, conformisticamente centrati su un futuro dominato dalle macchine e su un presente che sta forse anticipando quello che succederà e ciò che, come esseri umani, saremo. Tutti gli artisti, in ogni epoca, hanno avuto come scopo principale quello di riflettere la società in cui vivevano. Ai-Da riflette l’uso contemporaneo delle tecnologie e ci porta a pensare a ciò che siamo.

Dopo avere esposto al Design Museum di Londra (in mostra fino a fine agosto) Ai-da si sposterà al Porthmeor Studies di St Ives in Cornovaglia dedicandosi a sculture ispirate a Naum Gabo e Barbara Hepworth nel tentativo di dimostrare la sua estrema versatilità e la sua 'concezione' dell'arte come comunicazione. La sua specializzazione (algoritmica) è l'autoritratto. Con i suoi occhi cibernetici, che non vedono, scruta sè stessa riflessa in qualche specchio e si disegna. Ai-da come molti altri risultati dello sviluppo delle intelligenze artificiali alimenta il dibattito sulle IA e sulle relazioni future tra umani e macchine o robot. Il dibattito forse dovrebbe essere concentrato sul futuro degli esseri umani ma una IA è sicuramente oggi più trendy e glamour di quanto non sia la sorte di esseri mortali che stanno evidenziando tutto il loro ritardo nel muoversi dentro i sistemi complessi che abitano da tempo.

Siamo di fronte a una vera rivoluzione. Macchine simbiontiche, cyborg umanoidi, fatte di viti, cavi, componenti di acciaio e plastiche ultraplasmabili e siliconiche, stanno ormai dimostrando di poter competere con gli umani in ambiti sempre più ampi e destreggiandosi con efficacia e noncuranza in sfere fin qui di pertinenza soltanto umana. Le IA sono usate in Cina per i programmi di riconoscimento facciale finalizzati al controllo e alla sorveglianza, nelle scuole cinesi per permettere ai bambini di superare i tornelli di ingresso alle scuole ma anche per catturarne, in classe, le loro espressioni facciali e emotive per calibrare meglio reazioni e interventi futuri, sono usate nella modalità GPT-3 per generare sistemi linguistici basati su linguaggi naturali e molto altro ancora.

Anche se la distanza tra una macchina senza cuore, sangue, sistema linfatico, cervello o coscienza e un essere umano è ancora grande, forse incolmabile fa impressione sentire Ai-da che, intervistata durante le sue esibizioni, ammette di non avere emozioni ma vuole produrre arte per far pensare, alimentare il dibattito artistico e soddisfare con le sue opere il suo pubblico. Al momento umano, domani forse fatto di altre macchine...

Chi ha progettato Ai-da ammette che sia facile dimenticare che l'artista cyborg non è umana. Colpisce che la riflessione sia accompagnata dalla preoccupazione per gli sviluppi odierni delle intelligenze artificiali perchè il confine tra uso e abuso sta diventando sempre più labile. Pur ammettendo l'esistenza di molteplici rischi che farebbero nascere problemi etici chi ha progettato Ai-da non sembra comunque propenso a fare alcuna scelta per abbandonare il progetto a cui sta lavorando. Dimostrando così la falsa coscienza, condivisa con molti scienziati, nella costruzione di una realtà che potrebbe vedere il superamento dell'homo sapiens. 

Di fronte alle opere di Ai-da si può rimanere estasiati per quanto la sua intelligenza artificiale è in grado di produrre. Oppure potrebbe riflettere sulle reazioni che nascono dall'esperienza visiva per interrogarsi non soltanto sull'IA artista ma sul destino dell'uomo in un modo sempre più mediato e/o colonizzato dalla tecnologia.

 

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