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Immagini rimosse e stupidità dei gesti

Immagini rimosse e stupidità dei gesti

01 Gennaio 2018 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Le immagini rimosse sono quelle di smartphone, tablet e gadget tecnologici vari. La stupidità è quella ripetitiva dei gesti senza senso che ormai tutti facciamo e che assomigliano tanto a quelli delle slot machine. Un artista americano con i suoi scatti artistici ci aiuta a riflettere sulla realtà virtuale degli schermi e le sue pratiche digitali.

L'artista si chiama Eric Pickersgill ed ha avuto la bella idea di chiedere alle persone da lui fotografate di mettersi in posa come se stessero telefonando, messaggiando, lavorando o video-giocando con i loro dispositivi mobili tecnologici, ma solo per finta. Gestualità e posture fotografate in assenza e con dispositivi tecnologici rimossi dalla realtà e dallo scatto fotografico, ma sempre ben presenti nella esperienza emotiva e cognitiva delle persone fotografate. Una presenza-assenza smaterializzata percepibile dalla partecipazione psicologica, affettiva e quasi mistica che le posture e le facce trasmettono.

Le foto realizzate sono servite a dare corpo a un progetto risalente al 2015, denominato non a caso Removed, finalizzato a mostre nelle quali invitare tutti a riflettere su ciò che si perde quando si è più collegati a un dispositivo che alle persone che ci stanno intorno.

Irresistibili schermi

La pervasività dello smartphone è stata rapida ed appare sempre più come irreversibile.

L'applicazione di un dispositivo intelligente e mobile nelle attività di tutti i giorni ha semplificato la vita, facilitato la comunicazione e l'interazione, reso vicino il lontano e fatto sparire le declinazioni temporali annegandole in un presentismo continuo.

I tanti benefici e i numerosi vantaggi percepiti hanno messo in secondo piano gli effetti collaterali e le implicazioni fisiche, psicologiche e relazionali. Uno di questi effetti è che ciò che si trova lontano non è più colui che si trova a chilometri di distanza (il contatto Facebook o Instagram) ma la persona seduta accanto. Il primo è facilmente raggiungibile, la seconda comporta la fatica del contatto fisico e del dialogare, le perturbazioni fisiche ed emotive e la complessità della relazione.

Questi effetti si stanno oggi rivelando a tutti coloro che hanno intrapreso un percorso critico di consapevolezza delle loro pratiche tecnologiche e di quello che stanno perdendo per i comportamenti abitudinari, ripetitivi e inconsapevoli che le caratterizzano. In questo percorso l'attenzione dovrebbe essere rivolta ai numerosi gesti senza senso che caratterizzano la relazione con il dispositivo tecnologico e che condizionano il modo di comunicare e di relazionarsi gli uni con gli altri. La  ricerca costante di una gratificazione immediata porta a rimanere incollati al dispositivo tecnologico a scapito di una relazionalità ricca, progettuale e piena di senso dell'altro (Franco Brevini).

Il condizionamento è evidenziato dall'assurdità dei molti modi di stare insieme, in famiglia, al ristorante, in coppia, con la mediazione o la costante presenza di un dispositivo (Sarebbe già un primo passo pensare: Io non sono il mio dispositivo! ). Modi che esprimono un nuovo tipo di socialità fatto di persone che non si parlano ma chattano, di genitori e figli che passano il tempo con i loro dispositivi e comunicano solo attraverso di essi, genitori che invece di parlare con i loro figli di pochi mesi o pochi anni usano uno smartphone come baby-sitter.

Le nuove forme di socialità si esprimo in gestualità e posture, ripetitive, diffuse e facilmente identificabili come legate all'uso di uno smartphone o tablet. Sono gestualità che non cambiano ma si adattano agli ambienti, pur rimanendo le stesse nella loro capacità iconica di far pensare immediatamente a persone mobilitate dai loro telefonini. Queste gestualità e posture fanno parte di ogni panorama pubblico e privato da richiamare immediatamente alla mente la realtà digitale dell'era Mobile.

Su questi panorami e scene familiari si è esercitata con 28 scatti fotografici la creatività di Eric Pickersgill, con una particolarità: la rimozione del dispositivo tecnologico dalla scena da fotografare. 

Una rimozione che in realtà non fa scomparire l'oggetto, tanto è forte il richiamo del gesto a cui siamo così esposti dall'averlo in qualche modo introiettato.

I gesti simulati, pur in assenza del dispositivo, lo fanno riapparire in tutti i suoi significati e nelle forme che si conoscono. Le posture delle mani e la loro gestualità ne indicano le dimensioni, ne suggeriscono le funzionalità e le finalità.

La scelta del bianco e nero enfatizza i soggetti fotografati, le situazioni (contesti familiari, sposalizi, tempo libero, viaggi, ecc.) sociali nei quali sono ripresi, l'assenza di comunicazione e interazioni tra di loro, ma soprattutto le loro posture e sentimenti.

 

A scorrere le immagini dell'artista della New Carolina sembra scorrere le pagine del libro più fortunato di Sherry Turkle del 2012, Insieme ma soli. Perchè ci aspettiamo sempre più dalla tecnologie e sempre meno dagli altri. Un libro nel quale Turkle esamina le conseguenze di un eccessivo uso del mezzo tecnologico e delle piattaforme di social networking evidenziandone gli effetti sulle relazioni e le interazioni umane. Effetti che si manifestano in maggiore solitudine (Social network, vita comunitaria e solitudine) e disconnessione, con gli altri ma anche con sè stessi (Ogni tecnologia esercita una certa forma di ipnosi e di torpore ...).

L'assenza come cartina di tornasole

In modo simile a quanto fatto dalla Turkle, ma con altri mezzi artistici, Eric Pickersgill racconta, attraverso la loro assenza, il livello di dipendenza e tossicità, per la socialità e il benessere relazionale degli individui, raggiunto dagli smartphone e propone la cura disintossicante della loro assenza.  Una dipendenza comportamentale da tempo oggetto di studio da parte di psicologi e psichiatri che si occupano sia dei fenomeni di nomofobia sia di altre conseguenze, con effetti negativi sulla vita delle persone come ansia, senso di frustrazione, panico e isolamento. Eliminando il dispositivo dalle mani contratte che ancora pensano di usarlo, dei soggetti fotografati, il fotografo richiama l'attenzione sulle loro facce, sugli occhi, sulle posture del capo e del collo, sugli ambienti e sugli eventi sociali nei quali le persone fotografate sono immerse.

Gli scenari e le situazioni che catturano l'attenzione del fotografo sono sempre sociali e abitati da persone che potrebbero, in quelle scene, comunicare e interagire tra di loro e che in realtà si percepiscono separate e non comunicanti. Tutte le situazioni rappresentate si collegano a momenti di vita che tutti, giovani e anziani, uomini e donne, hanno sperimentato e sperimentano ogni giorno. Tutti appaiono così catturati dai gesti nei quali sono impegnati, pur in assenza dei dispositivi ai quali questi gesti sono associati, da de-enfatizzare le loro espressioni facciali, emozioni e relazioni e lasciar percepire il loro senso di spaesamento e ansia per essere nell'impossibilità di connettersi.

L'obiettivo puntato sulle facce che si mostrano allo sgurado dell'osservatore (non tutte le facce delle foto sono infatti visibili, le identità rimangono nascoste insieme ai loro sentimenti ed emozioni) mette in luce il sorriso, evidenzia la contentezza di individui che non hanno ancora realizzato di avere perduto i loro dispositivi. La postura delle loro mani mostra l'assurdità di fotografie che sarebbero perfette con la presenza dello smartphone e che lo sono anche in sua assenza. Il significato percepito è infatti lo stesso, ma probabilmente non lo sarebbe se i soggetti fotografati fossero presenti in carne e ossa e capaci di realizzare di avere perso i loro dispositivi.

Nella realtà tecnologica odierna molti usano il loro dispositivo come una via di fuga da relazioni umane percepite come complicate o insoddisfacenti, semplicemente perché ne hanno paura o hanno timore di rimanerne delusi. Grazie a uno smartphone le relazioni virtuali sono percepite come facili, gratificanti, confortevoli. In esse ci si può più facilmente nascondere e riparare perché manca il contatto fisico (Serve il contatto, guardare il volto dell’altro, la relazione con persone in carne e ossa), la complicità o severità dello sguardo capace di mettere a nudo vulnerabilità e insicurezze (Viviamo sempre indossando delle lenti).

Lo smartphone è diventato una specie di copertina di Linus, protettiva, abbracciante, coinvolgente e rassicurante (Voliere e acquari di Facebook per uccellini e pesciolini in gabbia!). Questa copertina virtuale, miniaturizzata ma virtualmente immensa, risulta trasparente in ognuna delle foto di Eric Pickersgill ma si percepisce in tutta la sua presenza da quanto le persone fotografate appaiono tra loro disconnesse e perse in tutt'altre cose da quelle che potrebbero animare la situazione nella quale sono state riprese.

Ciò che traspare è anche l'ansia legata alla percezione di questa disconnessione, al disappunto e al rimprovero che ogni persona fotografata sembra fare all'altra sul fatto di preferire il display del dispositivo allo sguardo e al contatto visivo o tattile con la persona di fianco. Disappunto e rimprovero emergono in particolare dalle foto di matrimonio che l'artista sembra usare per evidenziare il destino di stanchezza, abitudinarietà, distacco e separazione che sempre accompagna ogni vita di coppia, nata da grandi promesse di amore eterno che terminano spesso in separazioni consensuali in casa. Il disappunto emerge anche dalle foto che ritraggono ambienti familiari con genitori e figli incapaci di comunicare perché troppo intenti a messaggiare.

Una situazione ormai ben nota a psicologi e assistenti sociali e che racconta quanto sia grande il bisogno dei figli di un rapporto solido e duraturo con i loro genitori basato su maggiore attenzione, continuo affiancamento e affetto. Un desiderio insoddisfatto a causa della presenza costante di schermi sempre accesi, magnetici, accattivanti e dagli effetti devastanti nelle relazioni inter-familiari perché impediscono l'unica forma di apprendimento che serve per conoscere la realtà del mondo, quella che si sviluppa dall'interazione tattile e faccia-a-faccia. Display che si frappongono e creano distanze incommensurabili tra i protagonisti delle varie esperienze familiari riprese dall'artista e mostrate nei loro effetti negativi in termini di solitudine e isolamento (La solitudine dei giovani networker). Display che impediscono di soddisfare il bisogno psicologico di riconoscimento, un bisogno fondamentale perchè è dal confronto e dalle relazioni con gli altri che costruiamo il nostro Sè e definiamo noi stessi rispetto agli altri.

Alcune considerazioni finali

L'aumento del tempo passato davanti a un display tecnologico sta facendo aumentare senso di solitudine, isolamento e ansie varie. Questi stati d'animo sono percepibili allo sguardo puntato su persone quasi sempre in contatto diretto con le loro protesi tecnologiche (Stiamo guadagnando la consapevolezza di ciò che andiamo perdendo). Lo sono anche quando, in assenza di esse, le mani, le dita, le facce delle persone, riprese con uno scatto fotografico, si muovono come se esse fossero presente.

Gli scatti di Pickersgill sono un invito a riflettere su cosa la tecnologia ci sta facendo e su comportamenti ai quali siamo così abituati da non percepirli neppure nella loro capacità di condizionare il modo di percepire, interagire e relazionarsi agli altri e alla realtà. L'invito dell'artista è ad abbandonare la zona confortevole nella quale ci raccontiamo di essere felici online, a mettere da parte la coperta di Linus che la tecnologia ha steso intorno a noi per riflettere criticamente sulla propria condizione umana. Obiettivo di questa riflessione non è la disconnessione o l'abbandono dei gadget tecnologici ma una maggiore consapevolezza  soprattutto il recupero delle relazioni umane, intime (Tecnologicamente consapevoli ma recuperando l'intimità!), emotivamente ricche perché legate al contatto, al faccia a faccia, alla comunicazione non verbale e alle emozioni analogiche che sempre si scatenano dall'incontro con l'altro (La conversazione necessaria - La forza del dialogo nell'era digitale).

Lo smartphone non va demonizzato (Cosa si può imparare dalla rottura o dalla perdita dello smartphone), è una risorsa utile e dalla quale non c'è bisogno di separarsi. A una condizione, sembra dire il fotografo, che non finisca per condizionare una vita intera o per isolare chi lo usa.

Per vedere tutte le immagini potete visitare il progetto Removed dell'artista a questo indirizzo.

 

 

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