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L'intelligenza artificiale non basta, serve anche quella emotiva

L'intelligenza artificiale non basta, serve anche quella emotiva

21 Novembre 2016 Redazione SoloTablet
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Si parla sempre più spesso di assistenti personali dotati di intelligenza artificiale. Prodotti tecnologici avanzati e in continua evoluzione ma che mancano ancora per il momento di intelligenza emotiva. Essenziale in ogni relazione umana e in ogni forma di conversazione, come quella sempre più diffusa tra uomo e macchina-dispositivo tecnologico.

L'iPhone ha quasi compiuto dieci anni e trasformato la comunicazione umana. Oggi un semplice viaggio in tram o in metropolitano ritorna l'immagine di folle tutte intente a interagire con le loro tastiere digitali, a cinguettare e messaggiare con WhatsApp, SnapChat e mille applicazioni. Lo schermo tattile potrebbe però essere arrivato al capolinea.

Il futuro dell'interazione uomo-macchina potrebbe essere vocale. Così sembrano indicare le numerose interfacce che, nella forma di assistenti personali dotati di capacità di apprendimento e di una parlantina in continua fase di evoluzione, stanno trasformando i dispositivi tecnologici in semplici supporti per una interazione vocale e intelligente destinata a cambiare per sempre il modo di comunicare tra uomo e macchina.

Rivolgersi al proprio smartphone parlando è più semplice, intuitivo ed efficace che cercare di comunicare attraverso gesti tattili esercitati sulla superficie di un display o scelte su menu a tendina. Il vantaggio non è solo quello di potere avere le mani libere ma anche la potenzialità e la ricchezza che nasce da una conversazione basata su linguaggi naturali.

Quando si parla di assistenti personali parlanti la mente fa a Siri di Apple, a Viv di Samsung o alla soluzione di Amazon che ha unito insieme Alexa con un dispositivo ad hoc chiamato Echo. Le soluzioni disponibili sul mercato sono in realtà decine, a dimostrazione di una evoluzione in atto e di un tendenza emergente che spinge verso una interazione con i dispositivi diversa sa quella oggi praticata.

A rallentare l'affermarsi delle nuove interfacce è l'uso che ne viene fatto da parte degli utenti. La percentuale di utilizzatori di smartphone che usano regolarmente l'assistente personale è molto bassa, nonostante tutti abbiano in qualche modo fatto conoscenza con l'interfaccia vocale del loro dispositivo. Un'indicazione di una tecnologia percepita ancora come non perfetta o quantomeno non ancora ritenuta necessaria.

Il problema non sembra essere il tipo di interfaccia ma la sua reale utilità. Chi possiede uno smartphone è già abituato a passare ore incollato al piccolo schermo del suo smartphone e domani lo farà in forme diverse, ad esempio interagendo attraverso microfono e auricolari con un dispositivo custodito in una tasca o ina borsetta. Ciò che ancora manca è la possibilità di impegnarsi in una interazione realmente conversazionale e di farlo attraverso la parola.

Questo tipo di interazione, rimasta nel regno dell'impossibile per anni, è oggi una realtà, grazie a decenni di sviluppo software che hanno permesso di sviluppare macchine capaci di comprendere il linguaggio naturale.  In pochi anni, anche grazie al salto evolutivo delle macchine e delle loro capacità di elaborazione, le macchine hanno acquisito capacità crescenti nella comprensione delle domande che vengono loro rivolte da chi le possiede ma anche delle intenzioni ad esse sottostanti. Ad esempio se si interroga Siri su un ristorante per una cena, l'assistente personale chiede subito se deve anche provvedere a riservare un tavolo. Al tempo stesso Google Now e altri assistenti dotati di capacità vocale sono capaci, per il momento ancora con risultati limitati, di prevedere ciò che interessa a chi interagisce con loro fornendo loro informazioni utili alle loro scelte successive e decisioni. Il tutto con una voce robotizzata ma anche con una grande un'efficienza, determinata spesso dalle maggiori informazioni di cui la macchina è dotata.

Ciò che al momento manca è la capacità da parte dell'assistente personale di cogliere la personalità dell'interlocutore in modo da creare maggiore confidenza e conoscenza reciproca. Oggi Siri, Cortana, Alexa e altri assistenti personali lo fanno interagendo con l'utente in modo scherzoso, con batture e feedback ironici. Lo fanno anche adottando per lo più una voce femminile, capace come quella del film Her di catturare anche emotivamente l'interlocutore, di ammaliarlo e incatenarlo.

Essere capaci di scherzare o parlare con la voce sensuale di Marylin Monroe non trasforma comunque questi assistenti personali dotati di capacità vocale e intelligenza artificiale di assumere una personalità e un carattere loro proprio utile a una interazione conversazionale all'altezza di quella umana. Il problema non è chiaramente la ricchezza o meno del vocabolario e la capacità di costruire frasi sensate e appropriate per personalizzare una conversazione. Serve maggiore intelligenza nell'uso della sintassi e dalla grammatica di un linguaggio ma ancor più una capacità maggiore nel capire le intenzioni dell'utente. E qui sta il limite attuale. Gli assistenti sono più intelligenti ma a ancora incapaci di cogliere i sentimenti umani e le emozioni che sempre governano scelte, decisioni e punteggiature della conversazione.

Tutti gli studi dimostrano che gli esseri umani prestano maggiore attenzione e fiducia in conversazioni o interazioni con entità che mostrano di avere delle competenze di tipo emotivo/emozionale. Se un assistente personale non le possiede rischia di non essere percepito come naturale ma anche come meno intelligente. La comunicazione umana va ben oltre l'uso della parola. Contano i movimenti degli occhi e la comunicazione non verbale, la capacità di variare tono, volume e velocità di espressione e molto altro ancora come i segnali paralinguistici.

Le macchine stanno rapidamente imparando anche questi aspetti della comunicazione laddove è reso loro possibile. Ad esempio molti dispositivi tecnologici indossabili come quelli che si portano al polso sono capaci di interpretare i movimenti del corpo, il battito cardiaco e i segnali vitali rilevabili sulla superficie della pelle. Questi dati possono essere usati per prevedere le reazioni emotive e/o psicologiche delle persone e per adattare i feedback delle macchine ma sono ancora dati insufficienti. Ad esempio difficilmente Siri potrebbe oggi capire, attraverso la semplice analisi della voce, se l'interlocutore o interlocutrice con cui sta interagendo mentre è alla guida di un'auto sia sobrio/a o ubriaco/a. Il giorno in cui sarà in grado di farlo vorrà dire che alla intelligenza artificiale si sarà aggiunta anche una sensibilità che oggi manca e che impedisce di dare risposte adeguate.

E' una carenza che è destinata a trovare una soluzione. L'integrazione della componente emotiva nelle attuali macchine intelligenti non è complicata e rappresenterà sicuramente una delle grandi novità dei prossimi anni che vedranno un numero crescente di assitenti personali interagire con noi attraverso uno smartphone ma anche in casa nella forma di dispositivi come Echo. In futuro dotati anche di telecamere capaci di interpretare gesti e linguaggi del corpo, di percepire reazioni emotive ed emozioni e di reagire ad esse in modo appropriato. Anche grazie alla capacità di apprendere e di personalizzare l'interazione.

La crescente umanizzazione degli assistenti personali favorirà anche l'emergere di comportamenti diversi da parte degli utenti. Comportamenti meno condizionati dalla paura delle macchine intelligenti e dalla maggiore disponibilità e fiducia nell'interagire e rivolgersi a loro per soddisfare bisogni e desideri. Tra pochi anni il rischio è che noi umani non saremo più in grado di capire la differenza tra un'interazione prettamente umana e una uomo-macchina. Fortunatamente ci sono ancora alcuni anni nei quali è possibile sperimentare interazioni con Her fatte ancora di cerne e ossa e di emozioni e sentimenti esclusivamente umani.

 

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