Filosofia e tecnologia /

Non vivremo necessariamente in un mondo distopico, ma sicuramente più disumano

Non vivremo necessariamente in un mondo distopico, ma sicuramente più disumano

07 Febbraio 2021 Interviste filosofiche
Interviste filosofiche
Interviste filosofiche
share

"Diogene […] obiettò una volta che gli si facevano le lodi di un filosofo: “Che cosa mai ha da mostrare di grande, se da tanto tempo pratica la filosofia e non ha ancora turbato nessuno?” Proprio così bisognerebbe scrivere sulla tomba della filosofia della università: “Non ha mai turbato nessuno” (F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III. Schopenhauer come educatore, tr. it. di M. Montinari, in F. Nietzsche, Opere, vol. III, tomo I, Adelphi, pag. 457)."


Sei filosofo, sociologo, psicologo, studioso della tecnologia o semplice cittadino consapevole della Rete e vuoi partecipare alla nostra iniziativa con un contributo di pensiero? 
.

Su questi temi SoloTablet sta sviluppando da tempo una riflessione ampia e aperta, contribuendo alla più ampia discussione in corso. Un approccio usato è quello di coinvolgere e intervistare autori, specialisti e studiosi che stanno contribuendo con il loro lavoro speculativo, di ricerca, professionale e di scrittura a questa discussione.Tutti sembrano concordare sul fatto che viviamo tempi interessanti, complessi e ricchi di cambiamenti. Molti associano il cambiamento alla tecnologia.

Pochi riflettono su quanto in profondità la tecnologia stia trasformando il mondo, la realtà oggettiva e fattuale delle persone, nelle loro vesti di consumatori, cittadini ed elettori.

Sulla velocità di fuga e volontà di potenza della tecnologia e sulla sua continua evoluzione, negli ultimi anni sono stati scritti numerosi libri che propongono nuovi strumenti concettuali e cognitivi per conoscere meglio la tecnologia e/o suggeriscono una riflessione critica utile per un utilizzo diverso e più consapevole della tecnologia e per comprenderne meglio i suoi effetti sull'evoluzione futura del genere umano.

In questo articolo proponiamo l’intervista che Carlo Mazzucchelli  ha condotto con la redazione de lanottolafilo.com: Leonardo Pastorello - Editore de LA NOTTOLA, Marco Baile Serra, Claudia Granato Alessandro Lomartire, Uriel  P. Tiogeneitt  


 

Buongiorno, può raccontarci qualcosa di lei, della sua attività attuale, del suo interesse per le nuove tecnologie e per una riflessione sull'era tecnologica e dell'informazione che viviamo?

Il nome del nostro blog – La Nottola – è stato ereditato dall’immaginifico del mondo greco-romano: la civetta – o nottola – di Minerva è il simbolo della filosofia.

La Nottola è uno spazio filosofico nato lo scorso 20 marzo 2020. Un giorno Leonardo Pastorello e Giorgio Antonelli si sono messi in contatto con l’intenzione di creare un blog, coinvolgendo persone disponibili a collaborare per la realizzazione di questo progetto.

La motivazione che li ha spinti a dare vita a La Nottola è semplice: questa fase pandemica segnata dal Coronavirus rappresenta un’emergenza alla quale non possiamo essere passivi, perché il pensiero deve avere dinamicità, costante apertura verso coloro che hanno bisogno di un momento di riflessione. Noi ”Nottoliani” non siamo sul web e sui social per atteggiarci a saccenti, ma vogliamo crescere culturalmente dando un nostro contributo al mondo della cultura, che non dev’essere dimenticato in questa società digitalizzata e automatizzata. 

Secondo il filosofo pop del momento, Slavoj Žižek, viviamo tempi alla fine dei tempi. Quella del filosofo sloveno è una riflessione sulla società e sull'economia del terzo millennio ma può essere estesa anche alla tecnologia e alla sua volontà di potenza (il technium di Kevin Kelly nel suo libro Cosa vuole la tecnologia) che stanno trasformando il mondo, l'uomo, la percezione della realtà e l'evoluzione futura del genere umano. La trasformazione in atto obbliga tutti a riflettere sul fenomeno della pervasività e dell'uso diffuso di strumenti tecnologici ma anche sugli effetti della tecnologia. Qual è la sua visione attuale dell'era tecnologica che viviamo e che tipo di riflessione dovrebbe essere fatta, da parte dei filosofi e degli scienziati ma anche delle singole persone? 

Hegel sosteneva che la storia è un percorso progressivo verso il Sapere Assoluto.

Le contraddizioni sono necessarie affinché vi siano prospettive di progresso.

Se non ci fossero l’abuso tecnologico, la percezione estetizzante della realtà – intesa nel senso edonista nel termine -, il totalitarismo del Grande Fratello orwelliano, non vi sarebbe lo spazio per la riflessione etica su ciò che il nuovo comporta all’insegna del bene e del male.

Secondo questa prospettiva, potremmo tracciare delle analogie con la nietzscheana volontà di potenza, poiché la facoltà di aggiornarsi, tipica del superuomo, dovremmo acquisirla tutti in quanto esseri umani.

Miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone usati come protesi tecnologiche, di display magnetici capaci di restringere la visuale dell'occhio umano rendendola falsamente aumentata, di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale. In questa realtà ciò che manca è una riflessione su quanto la tecnologia stia cambiando la vita delle persone (High Tech High Touch di Naisbitt) ma soprattutto su quali siano gli effetti e quali possano esserne le conseguenze.  Il primo effetto è che stanno cambiando i concetti stessi con cui analizziamo e cerchiamo di comprendere la realtà. La tecnologia non è più neutrale, sta riscrivendo il mondo intero e il cervello stesso delle persone. Lo sta facendo attraverso il potere dei produttori tecnologici e la tacita complicità degli utenti/consumatori. Come stanno cambiando secondo lei i concetti che usiamo per interagire e comprendere la realtà tecnologica? Ritiene anche lei che la tecnologia non sia più neutrale? 

La tecnologia non è mai stata neutrale, perché è un prolungamento della scienza che è essa stessa tecnica.

L'agire tecnico è inscritto nell'essere umano, perché egli non si limita ad interagire con l'ambiente come qualunque altra specie animale, ma lo modifica, riempiendolo di significato e creando così un mondo, che è cosa ben diversa dall'ambiente. Questo perché la dimensione istintuale è estranea all'uomo, gli impulsi che possediamo non sono istinti a cui corrisponde una riposta univoca, bensì possiamo assecondarli o sublimarli, per usare il gergo freudiano, cioè utilizzarli come propellente della nostra psiche, la quale produce scienza, arte, filosofia e anche tecnologia, per l'appunto.

La scienza non è mai contemplazione disinteressata della natura, la scienza esiste per comprendere i meccanismi in base alla quale la natura regola sé stessa per poterli utilizzare a vantaggio della specie umana. Una frase di Heidegger molto spesso fraintesa recita "la scienza non pensa". Questo non significa che la scienza non si interroghi mai sui propri presupposti o sulla funzione che ha, ma che per farlo essa necessita di un ragionamento che sia estraneo al mero calcolo: i grandi scienziati sono sempre stati grandi filosofi.

In base a tutto ciò, una svolta necessaria all'interno del pensiero occidentale consisterebbe nel concepire la tecnica non come un mezzo del capitalismo, ma come ciò da cui il capitalismo è originato. Noi tutti siamo infatti abituati a pensare che oggi la tecnologia sia un alter ego del capitale finanziario perché identifichiamo la tecnologia con la tecnica, ma quest'ultima è appunto la struttura della volontà umana, la quale vede il mondo come qualcosa che è utilizzabile per il raggiungimento di uno scopo.

Secondo il filosofo francese Alain Badiou ciò che interessa il filosofo non è tanto quel che è (chi siamo!) ma quel che viene. Con lo sguardo rivolto alla tecnologia e alla sua evoluzione, quali sono secondo lei i possibili scenari futuri che stanno emergendo e quale immagine del mondo futuro che verrà ci stanno anticipando? 

Questa domanda si rivolge a qualsiasi discorso relativo al concetto di progresso.
Come diceva Walter Benjamin nel suo ‘’Angelus Novus’’, non vi è redenzione senza memoria. Ovviamente quest’ultima non va fraintesa come se fosse un dispositivo che funge da contenitore di dati. Per memoria intendiamo la facoltà mnemonica, ossia l’esercizio dell’anima di far risuonare le manifestazioni del Bene e del Male per far sì che possiamo sbagliare il meno possibile. 

Secondo alcuni, tecnofobi, tecno-pessimisti e tecno-luddisti, il futuro della tecnologia sarà distopico, dominato dalle macchine, dalla singolarità di Kurzweil (la via di fuga della tecnologia) e da un Matrix nel quale saranno introvabili persino le pillole rosse che hanno permesso a Neo di prendere coscienza della realtà artificiale nella quale era imprigionato. Per altri, tecnofili, tecno-entusiasti e tecno-maniaci, il futuro sarà ricco di opportunità e nuove utopie/etopie. A quali di queste categorie pensa di appartenere e qual è la sua visione del futuro tecnologico che ci aspetta? E se la posizione da assumere fosse semplicemente quelle tecno-critica o tecno-cinica? E se a contare davvero fosse solo una maggiore consapevolezza diffusa nell'utilizzo della tecnologia? 

Siccome la tecnologia è l'opposto della neutralità, l'approccio critico sarà sempre indispensabile per non subirla passivamente. La tecnica infatti non è in sé buona o cattiva, ma la civiltà occidentale è fondata sul profitto e sulla crescita economica, essa ha postulato un progresso all'infinito che non è sostenibile, a meno di non considerare come sacrifici accettabili le perpetue crisi che il mercato genera e di cui si nutre per risorgere.

Non vivremo necessariamente in un mondo distopico, ma sicuramente più disumano, nel senso che il concetto stesso di uomo è destinato a cambiare. L'idea dell'uomo aveva senso all'interno di un orizzonte metafisico che l'attuale postmodernità disconosce in maniera radicale, perché è l'epoca del capitalismo pienamente realizzato, cioè fondato su sé stesso, le cui regole sono immanenti ad esso e non provengono dall'esterno.

La politica ha infatti rinunciato a regolare i flussi di cui è costituito il capitale e la sua funzione è ormai quella di garantire il libero esercizio delle pulsioni che costituiscono l'individuo postmoderno. In tutto ciò, la tecnica sicuramente acquisirà l'ecologismo come mezzo per continuare ad accrescere la sua portata e forse le società del futuro saranno davvero più rispettose della natura e più attente alla sopravvivenza della specie umana, ma anche se la scienza dovesse risolvere tutti i suoi problemi, le questioni fondamentali dell'essere umano non sarebbero state nemmeno toccate, perché il senso del mondo, diceva Wittgenstein, risiede fuori di esso, cioè in un metro di valutazione etica che non è possibile trovare nella natura, dove non esistono il giusto e lo sbagliato.

Se si abbandonerà la funzione critica del pensiero, allora certamente non c'è da augurarsi nulla di buono. 

Mentre l'attenzione dei media e dei consumatori è tutta mirata alle meraviglie tecnologiche di prodotti tecnologici diventati protesi operative e cognitive per la nostra interazione con molteplici realtà parallele nelle quali viviamo, sfugge ai più la pervasività della tecnologia, nelle sue componenti nascoste e invisibili. Poca attenzione è dedicata all'uso di soluzioni di Cloud Computing e ancora meno di Big Data nei quali vengono archiviati miliardi di dati personali. In particolare sfugge quasi a tutti che il software sta dominando il mondo e determinando una rivoluzione paragonabile a quella dell'alfabeto, della scrittura, della stampa e di Internet. Questa rivoluzione è sotterranea, continua, invisibile, intelligente, Fatta di componenti software miniaturizzati, agili e leggeri capaci di apprendere, di interagire, di integrarsi e di adattarsi come se fossero neuroni in cerca di nuove sinapsi.  Questa rivoluzione sta cambiando le vite di tutti ma anche la loro percezione della realtà, la loro mente e il loro inconscio. Modificati come siamo dalla tecnologia, non ci rendiamo conto di avere indossato delle lenti con cui interpretiamo il mondo e interagiamo con esso. Lei cosa ne pensa? 

La nostra gnoseologia sta cambiando: basti pensare al modo in cui percepiamo gli oggetti.

Una risposta plausibile a questa domanda di carattere etico la suggerisce il mito della caverna di Platone.
I sensi ingannano, la doxa inganna, l’episteme richiede fatica e sacrificio. 

Se il software è al comando, chi lo produce e gestisce lo è ancora di più. Questo software, nella forma di applicazioni, è oggi sempre più nelle mani di quelli che Eugeny Morozov chiama i Signori del silicio (la banda dei quattro: Google, Facebook, Amazon e Apple). È un controllo che pone il problema della privacy e della riservatezza dei dati ma anche quello della complicità conformistica e acritica degli utenti/consumatori nel soddisfare la bulimia del software e di chi lo gestisce. Grazie ai suoi algoritmi e pervasività, il software, ma anche la tecnologia in generale, pone numerosi problemi, tutti interessanti per una riflessione filosofica ma anche politica e umanistica, quali la libertà individuale (non solo di scelta), la democrazia, l'identità, ecc. (si potrebbe citare a questo proposito La Boétie e il suo testo Il Discorso sulla servitù volontaria). Lei cosa ne pensa? 

Dovremmo accogliere la morale kantiana per non cadere nel fardello del nichilismo attivo.

Non vi è alcun dubbio sul fatto che la libertà individuale è una delle più grandi conquiste della società liberale. Tuttavia, sorge il problema di come questa libertà tenga presente della propria legittimità o illegittimità in contesti virtuali e non solo.

Come suggerisce il filosofo torinese Andrea Poma, la nostra attualità è segnata da un’assenza di forma etica, in cui il declino dell’identità e della rappresentazione dovrebbe rappresentare l’occasione di unire tutte le forze filosofiche per far sì che si possa dar forma a un nuovo umanesimo.

Una delle studiose più attente al fenomeno della tecnologia è Sherry Turkle. Nei suoi libri Insieme ma soli e nell'ultimo La conversazione necessaria, la Turkle ha analizzato il fenomeno dei social network arrivando alla conclusione che, avendo sacrificato la conversazione umana alle tecnologie digitali,  il dialogo stia perdendo la sua forza e si stia perdendo la capacità di sopportare solitudine e inquietudini ma anche di concentrarsi, riflettere e operare per il proprio benessere psichico e cognitivo. Lei come guarda al fenomeno dei social network e alle pratiche, anche compulsive, che in essi si manifestano? Cosa stiamo perdendo o guadagnando da una interazione umana e con la realtà sempre più mediata da dispositivi tecnologici? 

“L'atomizzazione” e la “società di massa” sono due fenomeni citati da Hanna Arendt nel suo saggio "Le origini del Totalitarismo" (1951). Chiaramente i nuovi media e le nuove tecnologie hanno accentuato questo fenomeno, rendendoci sempre più connessi ma allo stesso tempo sempre più distanti.

La conseguenza come si è già detto nella domanda e che seppur sia più facile comunicare, anche con persone dall’altra parte del globo la realtà è che ci si sente più soli e privati di quel contatto, talvolta anche fisico, che sui social non si può avere. Se una comunicazione istantanea rende il commercio più dinamico e efficiente, migliorando anche la qualità della vita, di contro sottopone l’individuo e la società tutta a ritmi e stili di vita a cui è sempre più difficile sottostare. Inoltre la tecnologia sembra sempre di più un fine e sempre meno un mezzo, quindi ritrovare una sorta di equilibrio sembra sempre più difficile.

In un libro di Finn Brunton e Helen Nissenbaum, Offuscamento. Manuale di difesa della privacy e della protesta, si descrivono le tecniche che potrebbero essere usate per ingannare, offuscare e rendere inoffensivi gli algoritmi di cui è disseminata la nostra vita online. Il libro propone alcuni semplici comportamenti che potrebbero permettere di difendere i propri spazi di libertà dall'invadenza della tecnologia. Secondo lei è possibile difendersi e come si potrebbe farlo? 

Il tema della privacy è sicuramente fra i più “scottanti” quando si parla di social media e tecnologia. Un membro della nostra redazione – Uriel - ha deciso di usare uno pseudonimo per scindere la sua persona pubblica da quella privata. La sua esperienza sui social lo ha portato a pensare che molte persone mancano di una coscienza nell’utilizzo delle risorse tecnologiche.

Questa lacuna non è poi così sorprendente e tanto meno da denigrare, in quanto è una realtà che esiste da relativamente poco. Una possibile soluzione potrebbe essere quindi cercare di sensibilizzare e formare gli individui nell’utilizzo del medium, tenendo presente che grosso modo la condotta sui social deve essere la stessa da seguire in un qualsiasi altro contesto pubblico.

Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a? 

Un’esigenza filosofica è l’indagine sulla memoria.

Non vi è progresso, se non vi è memoria.

Cosa pensa del nostro progetto SoloTablet? Ci piacerebbe avere dei suggerimenti per migliorarlo! 

La redazione de La Nottola si complimenta con SoloTablet, con la speranza di poter da luce a una costruttiva collaborazione.

comments powered by Disqus

Sei alla ricerca di uno sviluppatore?

Cerca nel nostro database