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Senza etica della tecnologia sarà vero progresso? (Sabrina Francavilla)

Senza etica della tecnologia sarà vero progresso? (Sabrina Francavilla)

14 Dicembre 2020 Interviste filosofiche
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La tecnologia ci fornisce una sorta di realtà alternativa con la quale interagiamo attraverso delle regole che essa stessa ci impone. Ci si ritrova quindi a utilizzare un paradigma e dei concetti a esso correlati che potremmo non comprendere

"L'ideologia prevalente è il cinismo. Le persone non credono più in nessuna verità ideologica. La gente non prende seriamente nessuna proposta ideologicamente connotata. [...] Il cinico distacco è soltanto un modo di renderci ciechi di fronte al potere strutturale della fantasia ideologica. Anche se non prendiamo le cose sul serio, anche se manteniamo una distanza ironica da quello che facciamo, continuiamo comunque a farlo. -  Slavoj Žižek


Sei filosofo, sociologo, piscologo, studioso della tecnologia o semplice cittadino consapevole della Rete e vuoi partecipare alla nostra iniziativa con un contributo di pensiero? .

Tutti sembrano concordare sul fatto che viviamo tempi interessanti, complessi e ricchi di cambiamenti. Molti associano il cambiamento alla tecnologia. Pochi riflettono su quanto in profondità la tecnologia stia trasformando il mondo, la realtà oggettiva e fattuale delle persone, nelle loro vesti di consumatori, cittadini ed elettori. Sulla velocità di fuga e volontà di potenza della tecnologia e sulla sua continua evoluzione, negli ultimi anni sono stati scritti numerosi libri che propongono nuovi strumenti concettuali e cognitivi per conoscere meglio la tecnologia e/o suggeriscono una riflessione critica utile per un utilizzo diverso e più consapevole della tecnologia e per comprenderne meglio i suoi effetti sull'evoluzione futura del genere umano.

Su questi temi SoloTablet sta sviluppando da tempo una riflessione ampia e aperta, contribuendo alla più ampia discussione in corso. Un approccio usato è quello di coinvolgere e intervistare autori, specialisti e studiosi che stanno contribuendo con il loro lavoro speculativo, di ricerca, professionale e di scrittura a questa discussione.

In questo articolo proponiamo l’intervista che Carlo Mazzucchelli  ha condotto con Sabrina Francavilla, Consulente filosofico


 

Buongiorno, può raccontarci qualcosa di lei, della sua attività attuale, del suo interesse per le nuove tecnologie e per una riflessione sull'era tecnologica e dell'informazione che viviamo? 

Fin dagli studi universitari ho creduto che la filosofia non dovesse, come ritengono in molti, rimanere relegata in via esclusiva all’ambiente accademico in una prospettiva prevalentemente teorica, ma che, al contrario, essa costituisse un’importante risorsa per la vita, in ogni sua sfaccettatura.

Per questo motivo dopo la laurea, avvenuta nel 2005 presso l’Università degli Studi di Padova, mi sono interessata alle pratiche filosofiche e alla Consulenza Filosofica.

Dal 2011 sono Consulente Filosofico riconosciuto dall’associazione Phronesis, dopo un itinerario formativo.

Mi occupo di Consulenza Filosofica individuale, una pratica che, in breve, permette alle persone di esplorare loro stesse e di raggiungere, conseguentemente, un maggior grado di consapevolezza. Organizzo anche incontri di gruppo su tematiche filosofiche, sviluppati, comunque, in una prospettiva più pratica che teoretica e indirizzati alla promozione della consapevolezza. 

Credo che la tecnologia abbia fatto sempre parte della vita degli esseri umani, fin dalle invenzioni più primitive e rudimentali.

Certo è che oggi, diversamente che in passato, stiamo assistendo ad un progresso tecnologico caratterizzato da una crescita esponenziale. Ci accorgiamo maggiormente della presenza della tecnologia nelle nostre vite proprio perché essa subisce continui cambiamenti, cosa che molto spesso non ci dà la possibilità neppure di abituarci ad essa, di prenderne padronanza, facendocela percepire più pervasiva che mai.

Personalmente ho utilizzato molto sporadicamente mezzi tecnologici di ultima generazione per le mie attività, limitandomi, per gli incontri pubblici, all’uso del pc per la proiezione di slide o filmati. Con la pandemia da Covid-19 ho iniziato a servirmi delle videochiamate, attraverso diverse piattaforme, per le consulenze individuali constatando che, in definitiva, il dialogo non ne risulta compromesso.

Non mi sono mai occupata di temi inerenti la tecnologia in maniera specifica. Risponderò quindi alle domande di questa intervista dal punto di vista del Filosofo Consulente, più attento alle dinamiche sociali che a quelle tecnologiche in senso stretto. 

Secondo il filosofo pop del momento, Slavoj Žižek, viviamo tempi alla fine dei tempi. Quella del filosofo sloveno è una riflessione sulla società e sull'economia del terzo millennio ma può essere estesa anche alla tecnologia e alla sua volontà di potenza (il technium di Kevin Kelly nel suo libro Cosa vuole la tecnologia) che stanno trasformando il mondo, l'uomo, la percezione della realtà e l'evoluzione futura del genere umano. La trasformazione in atto obbliga tutti a riflettere sul fenomeno della pervasività e dell'uso diffuso di strumenti tecnologici ma anche sugli effetti della tecnologia. Qual è la sua visione attuale dell'era tecnologica che viviamo e che tipo di riflessione dovrebbe essere fatta, da parte dei filosofi e degli scienziati ma anche delle singole persone? 

Come ho accennato nella risposta alla precedente domanda la tecnologia ha fatto sempre parte della vita umana. L’attuale velocità con cui essa oggi progredisce e muta, però, rischia di creare disorientamento.

Da una parte c’è il desiderio, che in molte circostanze diventa necessità, sia essa reale o percepita, di utilizzare le nuove tecnologie, e dall’altra la difficoltà di rimanere, effettivamente, al passo con esse, cosa che, di rimando, può portare al disagio, al senso di inadeguatezza.

Oltre a ciò bisogna tener presente che per la prima volta la tecnologia ha un impatto tanto importante sulla comunicazione e sulla possibilità di interagire con le altre persone. Dal mio punto di vista di Filosofo Consulente mi sembra che sia proprio questo l’elemento che più di altri coinvolge le persone nell’ambito delle nuove tecnologie: esse influenzano in modo diretto i rapporti interpersonali, la vita sociale, che da sempre per l’essere umano è fondamentale, tanto da essere definito, da Aristotele, animale sociale.

Da questa prospettiva il problema è che le interazioni sociali, se avvengono esclusivamente o in maniera maggioritaria, attraverso la mediazione dello strumento tecnologico rischiano di perdere la loro autenticità.

La facilità con cui è possibile accedere alla comunicazione può suscitare in alcune persone una sensazione di onnipotenza che a sua volta può spingere a comportamenti irrazionali e/o che vanno a interferire con la vita altrui in maniera invasiva portando talvolta a risvolti tragici.

Tutto ciò, però, non deve far dimenticare quanto queste stesse innovazioni sono risultate utili. La velocità nello scambio di informazioni, ad esempio, rappresenta un grande vantaggio in molti settori, tra cui quello scientifico. Ma in questo tipo di riflessione non è qui che ci si deve fermare. Ho notato che quando si parla di progresso tecnologico, si tende a far rifermento in via quasi esclusiva a quello riguardante l’informatica e, in modo particolare, i riscontri di essa nella comunicazione. Probabilmente perché si tratta del ramo che si percepisce come “più alla portata di tutti”.

Ritengo sia una visione parziale.

I passi che sono stati fatti in molti altri ambiti hanno avuto anch’essi delle ricadute importanti sulle nostre vite. Si pensi solo, per fare degli esempi, alla medicina, alla biologia, o all’ingegneria. Non credo ci siano dubbi sul fatto che le scoperte e le innovazioni in tali campi siano stati causa di cambiamenti importanti, che alcune abbiano portato a un miglioramento di vari aspetti della nostra qualità di vita, altre a un peggioramento.

Questi argomenti rimangono spesso fuori dalla riflessione dei singoli e le discussioni in merito a essi sono meno seguite rispetto a quelle sulle innovazioni relative alla comunicazione. Probabilmente perché soltanto nei settori inerenti l’informatica e la comunicazione non ci sentiamo fruitori passivi, ma attivi operatori. Quanto ciò corrisponda al reale è quantomeno discutibile. 

 

Miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone usati come protesi tecnologiche, di display magnetici capaci di restringere la visuale dell'occhio umano rendendola falsamente aumentata, di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale. In questa realtà ciò che manca è una riflessione su quanto la tecnologia stia cambiando la vita delle persone (High Tech High Touch di Naisbitt) ma soprattutto su quali siano gli effetti e quali possano esserne le conseguenze.  Il primo effetto è che stanno cambiando i concetti stessi con cui analizziamo e cerchiamo di comprendere la realtà. La tecnologia non è più neutrale, sta riscrivendo il mondo intero e il cervello stesso delle persone. Lo sta facendo attraverso il potere dei produttori tecnologici e la tacita complicità degli utenti/consumatori. Come stanno cambiando secondo lei i concetti che usiamo per interagire e comprendere la realtà tecnologica? Ritiene anche lei che la tecnologia non sia più neutrale? 

La tecnologia, in particolare quella a cui viene fatto riferimento nella prima parte della domanda, ci fornisce una sorta di realtà alternativa con la quale interagiamo attraverso delle regole che essa stessa ci impone. Ci si ritrova quindi a utilizzare un paradigma e dei concetti a esso correlati che potremmo non comprendere

Guardare il mondo attraverso un display significa essere soggetti a condizionamenti potenzialmente incontrollabili. Risulta evidente quanto le stesse immagini proposte possono indurre la persona a focalizzare la propria attenzione su predeterminati particolari o aspetti. Il bombardamento mediatico a cui, mediante smartphone e altri strumenti, siamo sottoposti in ogni momento della nostra giornata, rischia, se non valutato in maniera critica, di condurre la persona a una riscrittura dei propri valori e priorità, che però non trovano una reale corrispondenza nella propria autenticità.

Questo scollamento da se stessi è destinato a riemergere, anche a distanza di tempo, sotto forma di disagio personale.

Subire una realtà piuttosto che agire nella consapevolezza di essa significa, in termini esistenzialisti, rinunciare a essere soggetto per essere oggetto.

Con questo non intendo comunque affermare che i dispositivi di cui ora stiamo parlando siano deleteri in senso assoluto. La cosa importante è saper valutare le informazioni che ci arrivano in maniera critica, selezionarle, saper distinguere il fatto oggettivo dalle opinioni espresse, rimanere sempre connessi non solo alla rete ma soprattutto alla propria essenza.

Dobbiamo avere la consapevolezza che si tratta sempre e comunque di strumenti che dobbiamo porre al nostro servizio allo scopo di una facilitazione della vita. Non rappresentano il fine ultimo. 

 

Secondo il filosofo francese Alain Badiou ciò che interessa il filosofo non è tanto quel che è (chi siamo!) ma quel che viene. Con lo sguardo rivolto alla tecnologia e alla sua evoluzione, quali sono secondo lei i possibili scenari futuri che stanno emergendo e quale immagine del mondo futuro che verrà ci stanno anticipando? 

Considerando la velocità con cui ad oggi avvengono i cambiamenti in ambito tecnologico e che essa è probabilmente destinata ad accelerare ulteriormente credo sia molto difficile poter prevedere quali scenari futuri ci riserverà la tecnologia.

Molto dipenderà dall’uso che ne verrà fatto, che sarà direttamente dipendente dalle priorità che verranno poste negli ambiti della ricerca e dell’innovazione.

Non nascondo, comunque, che vedo un’enorme potenzialità, la possibilità di creare nuove possibilità e miglioramenti.

Al contrario di Badiou ritengo che il filosofo debba concentrarsi molto sul presente in quanto è la sola dimensione in cui è possibile agire e gettare le basi per il futuro.

In merito all’argomento di cui stiamo discutendo, quello che possiamo fare oggi è impegnarci, a livello intellettuale ma anche politico, affinché la tecnologia venga indirizzata in modo tale da poter rappresentare possibilità e miglioramento nel senso più ampio possibile, in altre parole che essa non si concentri, in via prioritaria, su interessi personali ma piuttosto che sia impiegata per rispondere ai bisogni della comunità umana nella sua interezza.

Se la tecnologia non sarà accompagnata da considerazioni di ampio respiro e da valutazioni di matrice etica, non contaminate da credenze soggettive, non credo si potrà parlare propriamente di progresso. 

 

Secondo alcuni, tecnofobi, tecno-pessimisti e tecno-luddisti, il futuro della tecnologia sarà distopico, dominato dalle macchine, dalla singolarità di Kurzweil (la via di fuga della tecnologia) e da un Matrix nel quale saranno introvabili persino le pillole rosse che hanno permesso a Neo di prendere coscienza della realtà artificiale nella quale era imprigionato. Per altri, tecnofili, tecno-entusiasti e tecno-maniaci, il futuro sarà ricco di opportunità e nuove utopie/etopie. A quali di queste categorie pensa di appartenere e qual è la sua visione del futuro tecnologico che ci aspetta? E se la posizione da assumere fosse semplicemente quelle tecno-critica o tecno-cinica? E se a contare davvero fosse solo una maggiore consapevolezza diffusa nell'utilizzo della tecnologia? 

Come probabilmente è stato già capito dalla risposta che ho dato alla domanda precedente, non mi considero aderente a nessuna delle due correnti citate, anche se mi sento un po’ più vicina alla seconda.

Le possibilità che la tecnologia potenzialmente può e potrà aprire sono tante, anzi infinite.

La cosa secondo me essenziale è saper valutare in maniera oggettiva gli scopi primari a cui essa è rivolta, i principi a cui risponde.

La posizione tecno-critica ci permette di fare proprio questo.

Ma credo che una valutazione fine a se stessa non sia abbastanza, ma che, al contrario, essa rappresenti soltanto l’inizio. Il filosofo, come lo scienziato e il tecnico che operano in seno alla tecnologia, ma anche ogni singola persona che come tale ha la possibilità di riflettere in maniera critica, non può rimanere indifferente davanti alle ricadute sociali, siano esse attuali o potenziali, della tecnologia, come di qualunque altra cosa.

In ciò è certamente molto importante la consapevolezza. Essa, a mio parere, deve accompagnare ogni attività umana. L’uso della tecnologia, però, richiede una particolare attenzione in tali termini in quanto ci dà la possibilità, in maniera molto semplice, di fuoriuscire dall’ambito personale e interagire a livello sociale, anche su larga scala. Quando ciò si verifica diviene fondamentale avere una completa padronanza delle proprie azioni che devono rispondere alla nostra razionalità, non all’emotività. 

 

Mentre l'attenzione dei media e dei consumatori è tutta mirata alle meraviglie tecnologiche di prodotti tecnologici diventati protesi operative e cognitive per la nostra interazione con molteplici realtà parallele nelle quali viviamo, sfugge ai più la pervasività della tecnologia, nelle sue componenti nascoste e invisibili. Poca attenzione è dedicata all'uso di soluzioni di Cloud Computing e ancora meno di Big Data nei quali vengono archiviati miliardi di dati personali. In particolare sfugge quasi a tutti che il software sta dominando il mondo e determinando una rivoluzione paragonabile a quella dell'alfabeto, della scrittura, della stampa e di Internet. Questa rivoluzione è sotterranea, continua, invisibile, intelligente, Fatta di componenti software miniaturizzati, agili e leggeri capaci di apprendere, di interagire, di integrarsi e di adattarsi come se fossero neuroni in cerca di nuove sinapsi.  Questa rivoluzione sta cambiando le vite di tutti ma anche la loro percezione della realtà, la loro mente e il loro inconscio. Modificati come siamo dalla tecnologia, non ci rendiamo conto di avere indossato delle lenti con cui interpretiamo il mondo e interagiamo con esso. Lei cosa ne pensa? 

Certo, quando si discute di tecnologia generalmente, se non ci si trova in un ambito propriamente tecnico in cui tali conoscenze sono approfondite, ci si limita a considerare ciò che è comodamente sotto gli occhi di tutti.

D’altra parte è impossibile parlare di qualcosa che non si conosce. Ed è proprio questa mancanza di conoscenza e di percezione di qualcosa che ugualmente interagisce con noi, con le nostre vite a rappresentare un potenziale pericolo.

Dico potenziale perché non si deve dare per scontato che l’uso che ne viene fatto sia dannoso.

La continua raccolta di dati personali è un fatto oggettivo e innegabile. Si tratta di un processo in atto da lungo tempo. La novità è che oggi esso, con l’utilizzo corrente e ordinario degli strumenti informatici e della rete da parte della maggior parte delle persone, è stato enormemente facilitato e amplificato.

Esso avviene nel mentre si compiono le proprie normali attività.

Anche in questo la consapevolezza diviene un elemento indispensabile.

Dobbiamo renderci conto che a ogni consenso informato, a ogni ricerca tramite la rete raccontiamo qualcosa di noi, dei nostri desideri, delle passioni che ci animano, delle nostre abitudini.

Questo non ci deve portare a rinunciare all’uso della tecnologia, ma piuttosto ad attivare a nostra consapevolezza, la tendenza alla distrazione è molto forte in quanto si tratta di azioni che ormai fanno parte della nostra consuetudine.

Uno dei fattori da valutare è la trasparenza con cui avviene la raccolta di dati in questione. La mancanza di essa può essere un campanello d’allarme da prendere in considerazione.

Dall’altra parte, però, la consapevolezza e la valutazione critica ci possono anche aiutare a non lasciarci trascinare da inutili e inconsistenti allarmismi.

La raccolta dei dati è il più delle volte utilizzata a fini innocui. 

 

Se il software è al comando, chi lo produce e gestisce lo è ancora di più. Questo software, nella forma di applicazioni, è oggi sempre più nelle mani di quelli che Eugeny Morozov chiama i Signori del silicio (la banda dei quattro: Google, Facebook, Amazon e Apple). E' un controllo che pone il problema della privacy e della riservatezza dei dati ma anche quello della complicità conformistica e acritica degli utenti/consumatori nel soddisfare la bulimia del software e di chi lo gestisce. Grazie ai suoi algoritmi e pervasività, il software, ma anche la tecnologia in generale, pone numerosi problemi, tutti interessanti per una riflessione filosofica ma anche politica e umanistica, quali la libertà individuale (non solo di scelta), la democrazia, l'identità, ecc. (si potrebbe citare a questo proposito La Boétie e il suo testo Il Discorso sulla servitù volontaria). Lei cosa ne pensa? 

Queste constatazioni mettono in evidenza il fatto che gran parte della ricchezza, e con essa del potere, è gestito da pochi. Tra questi pochi vanno annoverati certamente, per dirlo con le parole di Eugeny Morozov i Signori del Silicio.

La possibilità di maneggiare una tanto grande mole di dati personali, che gli viene fornita in maniera spesso inconsapevole, da parte dei loro stessi utenti non fa altro che favorire, di giorno in giorno, la loro espansione.

Personalmente, comunque, porrei l’attenzione sugli utenti, sul loro modo di porsi di fronte all’applicazione e su come la utilizzano. L’installazione di una App avviene primariamente perché essa offre un servizio che il consumatore valuta utile. Il problema compare nel momento in cui essa comincia a inviare notifiche contenenti messaggi che spingono ad attuare un certo comportamento, ad acquistare un prodotto che secondo i calcoli dell’algoritmo potrebbe risultare rispondente alle esigenze dell’utente in questione e così via. La pervasività e la persuasività di tutto ciò è innegabilmente notevole. Lo si può facilmente notare dal fatto che ad oggi è proprio mediante questi mezzi che vengono lanciate mode, inculcate abitudini, create nuove esigenze che vengono avvertite come massimamente urgenti. Il condizionamento odierno passa proprio da qui, da strumenti il cui funzionamento è ai più ignoto. Ed è così che ci si lascia trascinare senza nemmeno rendersene conto, non distinguendo più i bisogni reali da quelli indotti, un pericolo che incombe su tutti, in special modo sulle persone emotivamente più fragili o insicure.

Ma ciò non deve far dimenticare che la loro funzione è innanzitutto strumentale.

Risulta quindi fondamentale rimanere sempre presenti a se stessi, non lasciare che la volontà venga affossata da questo turbine di sollecitazioni. Siamo noi a gestire le App che decidiamo volontariamente di utilizzare, non sono loro a gestire noi, a meno che non lo permettiamo. Non possiedono una loro intelligenza. Non mi occupo di Software e di programmazione ma non credo di errare nel dire che la loro modalità di funzionamento deriva esclusivamente dalle loro impostazioni che ovviamente non possono che essere stabilite in modo tale da massimizzare il vantaggio per il produttore.

Detto questo, non vorrei aver dato l’impressione di eccessiva ingenuità. Mi rendo perfettamente conto che un reale pericolo consiste nel fatto che i dati possono essere ceduti a terzi senza che ciò venga portato alla conoscenza degli utenti a fini non soltanto commerciali ma piuttosto per far acquisire un maggiore controllo sociale. 

 

Una delle studiose più attente al fenomeno della tecnologia è Sherry Turkle. Nei suoi libri Insieme ma soli e nell'ultimo La conversazione necessaria, la Turkle ha analizzato il fenomeno dei social network arrivando alla conclusione che, avendo sacrificato la conversazione umana alle tecnologie digitali,  il dialogo stia perdendo la sua forza e si stia perdendo la capacità di sopportare solitudine e inquietudini ma anche di concentrarsi, riflettere e operare per il proprio benessere psichico e cognitivo. Lei come guarda al fenomeno dei social network e alle pratiche, anche compulsive, che in essi si manifestano? Cosa stiamo perdendo guadagnando da una interazione umana e con la realtà sempre più mediata da dispositivi tecnologici? 

Il periodo di isolamento causato dalla pandemia ha, da una parte, dato prova del fatto che i contatti umani mediati dallo strumento elettronico non possono sostituire in toto quelli reali, dall’altra che in circostanze di emergenza la possibilità di avvalersi di piattaforme per videochiamate o altre forme di dialogo è senz’altro utile e permette di non interrompere la comunicazione in maniera totale.

L’uso dei Social Network è ormai da anni molto diffuso e negli ultimi mesi si è ulteriormente incrementato.

Si affidano ai social le proprie emozioni, i propri pensieri e sensazioni.

Alcuni profili sembrano quasi una riproduzione su schermo di tutto ciò che la persona fa, vede, prova.

Ma quanto ciò è reale?

Quanto di noi può essere compreso attraverso uno schermo?

Probabilmente si vive nella falsa illusione di poterci raccontare e di essere ascoltati, accolti. 

Altra cosa che ho notato è il tipo di linguaggio che viene utilizzato.

I post e i commenti sono per di più scritti in tono informale, e questo è comprensibile e corretto essendo esso percepito non come linguaggio scritto ma parlato.

A mio avviso, però, costituiscono un problema l’impoverimento del lessico e, ancora di più, il fatto che spesso non ci si preoccupa se quanto si scrive sia comprensibile a chi legge. Non mi riferisco tanto agli errori di grammatica o di battitura che sono probabilmente integrati all’informalità della circostanza, ma alle frasi o ai periodi costruiti in modo tale da non riuscire a comunicare alcun messaggio. Il linguaggio costituisce un importante strumento per capire se stessi. Nel momento in cui riordiniamo le parole o e frasi per parlare o scrivere senza rendercene conto riordiniamo anche le idee, facciamo chiarezza. Benedetto Croce sosteneva che la prova di aver compreso qualcosa consisteva nel fatto di essere in grado di spiegarla a qualcun altro. Credo che questo principio valga anche per la nostra interiorità. In altre parole temo che un linguaggio confuso e povero possa corrispondere a dei pensieri confusi e poco approfonditi. 

In un libro di Finn Brunton e Helen Nissenbaum, Offuscamento. Manuale di difesa della privacy e della protesta, si descrivono le tecniche che potrebbero essere usate per ingannare, offuscare e rendere inoffensivi gli algoritmi di cui è disseminata la nostra vita online. Il libro propone alcuni semplici comportamenti che potrebbero permettere di difendere i propri spazi di libertà dall'invadenza della tecnologia. Secondo lei è possibile difendersi e come si potrebbe farlo? 

Non credo che siamo destinati a essere “ingoiati” dagli algoritmi!

Una cosa comunque è certa: dobbiamo imparare a “difenderci” dalla loro pervasività in quanto non è possibile pensare di regredire, di rinunciare all’uso degli strumenti elettronici e dei software in quanto ciò significherebbe anche dover fare a meno dei vantaggi che essi ci offrono e che saranno in grado di metterci a disposizione in futuro.

La risposta a questa domanda è già contenuta nelle precedenti. Sono dell’opinione che il modo più efficace per non compromettere la volontà sia quello di rimanere presenti e se stessi e attuare dei comportamenti responsabili, verso se stessi e gli altri tenendo sempre presente che ignoriamo il modo in cui altri potrebbero utilizzare informazioni o materiali che ci appartengono. Penso che, in questo senso, potrebbe essere importante educare le persone a un corretto uso dei dispositivi e promuovere la conoscenza delle loro potenzialità, dei loro limiti e della loro crescente pervasività. 

Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a? 

Vorrei, intanto, ringraziare i promotori di questo progetto per avermi coinvolta dandomi la possibilità di esprimere il mio punto di vista su un argomento tanto importante e coinvolgente.

Come ho scritto quando mi sono presentata, non mi occupo abitualmente di tecnologia. Troverei comunque interessante se venisse affrontato l’argomento delle nuove tecnologie bio-mediche che stanno apportando un importante contributo nella cura di malattie e disfunzioni. Proporrei anche un ulteriore approfondimento della rivoluzione digitale visto che essa ci coinvolge tutti personalmente, dal lavoro allo svago.

A questo proposito suggerisco la lettura del libro Filosofia del digitale a cura di Luca Taddio e Gabriele Giacomini. 

Cosa pensa del nostro progetto SoloTablet? Ci piacerebbe avere dei suggerimenti per migliorarlo! 

Prima di essere contattata non conoscevo questo progetto. Ho visitato il sito e devo dire che è molto interessante.

I temi vengono sviluppati in maniera competente e approfondita.

Credo che il metodo delle interviste sia molto buono per poter mostrare al lettore diversi punti di vista e arricchire, in questo modo, il suo panorama.

 

 

 

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