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L'innovazione è fare meglio, trovando soluzioni e risolvendo problemi

L'innovazione è fare meglio, trovando soluzioni e risolvendo problemi

16 Aprile 2021 Techno-Innovation
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"Quando mi trovo ad illustrare quello che sarà il mio lavoro in azienda uso un parallelismo con il mondo dello sport, ed è quello del preparatore atletico: io mi presento come il loro preparatore atletico, pronto a guidare il loro training, pronto a supportarli attraverso le sfide più dure, l’acido lattico, il sudore, per raggiungere la giusta preparazione ed affrontare il campionato; d’altronde la trasformazione digitale non è una sfida semplice, bisogna essere molto allenati per ottenere dei successi."


In questa era digitale abitiamo realtà parallele, virtuali e fattuali, vissute tutte come reali, forse ci sentiamo in gabbia. La realtà si è popolata di macchine capaci di decidere da sole, reti di oggetti interconnessi e capaci di parlare tra loro, auto senza pilota, assistenti virtuali, algoritmi che decidono per noi e intelligenze artificiali. Di fronte alla potenza e alla bellezza della tecnologia siamo tutti affascinati, attratti e coinvolti, come individui, aziende e organizzazioni. Anche sul fronte dell’innovazione. 

Le nuove tecnologie hanno un impatto fondamentale, in termini di efficienza ed efficacia, nel rendere perseguibile l’innovazione in ambiti diversi: collaborazione, trasformazione digitale, management, processi e modelli di business. Grazie alle nuove tecnologie ogni realtà imprenditoriale può agire su vari fronti: intelligenza e conoscenza, prevedibilità degli scenari futuri e visione, interazione e collaborazione. Ognuno di questi ambiti può trarre vantaggio da tecnologie specifiche: Big Data, analytics, IoT, realtà aumentata e modellazione, digital workplace, e-learning, IA, Blockchain, ecc. 

L’Italia continua a scontare la sua arretratezza in ricerca e innovazione e a poco è servito il lancio dell’industria 4.0. A eccezione di un piccolo gruppo di imprese innovative l’imprenditorialità italiana non brilla per investimenti in ricerca e innovazione, forse manca la cultura. Il gap con le altre nazioni europee si sta allargando con conseguenze facilmente prevedibili. I problemi sono noti: scarse risorse per la ricerca, la scienza, l’università e la formazione, il taglio di fondi pubblici, il mercato del lavoro, la scarsa produttività, l’adattamento verso il basso, la carenza di infrastrutture. 


In questo articolo proponiamo l’intervista che Lucia de Grimani ha condotto con Andrea Radin, Innovation Manager, Business Process Consultant e Formatore 

Buongiorno, può raccontarci qualcosa di lei, del suo percorso lavorativo e dell’attività che porta avanti oggi? 

Buongiorno a voi! Io sono un Innovation Manager ed un Formatore per vocazione, un Connettore per missione ed un ex pallavolista e sportivo nel sangue.

Mi sono laureato in Economia coniugando lo studio e lo sport: ho giocato per 21 anni a pallavolo, ho girato l’Italia e vissuto molteplici esperienze che ho poi portato con me in azienda; lo sport ti insegna un metodo e ti regala una struttura mentale, una disciplina che oggi nel mondo aziendale mi è utilissima per gestire qualsiasi tipo di imprevisto o cambiamento inatteso. Insieme alla pallavolo ho intrapreso diversi percorsi lavorativi, in diversi ambiti aziendali: mi sono occupato di servizi, di assistenza al cliente, sono stato un commerciale, ho seguito il marketing, la pianificazione e la produzione, l’IT, i gestionali, il gdpr etc..

Tutti questi percorsi sono stati faticosi e complessi però mi hanno dato la possibilità di vedere e conoscere il funzionamento di un’azienda a 360°. Da lì, in maniera naturale mi sono trovato poi a seguire progetti di innovazione: oggi mi occupo di affiancare le aziende nei progetti di Digital Transformation, Industria 4.0 e Innovazione.

Tra le mie altre attività mi occupo anche di fare formazione, perché è fondamentale preparare le persone per gli importanti cambiamenti che stanno avvenendo nelle aziende.

Quali sono gli aspetti che caratterizzano il suo lavoro?

Il mio lavoro consiste in un’analisi dei processi aziendali esistenti, finalizzata a comprenderne il funzionamento, apportare modifiche laddove necessario, al fine di migliorare così il funzionamento dell’azienda in toto; spesso e volentieri mi trovo ad analizzare, comprendere e migliorare i processi, senza neanche dover fare ricorso alla tecnologia. Il ruolo che svolgo è importante perché spesso in azienda è necessaria una figura che sia in grado di coordinare i rapporti tra l’azienda stessa ed i partner esterni, parlando lo stesso linguaggio e possedendo le giuste competenze per gestire le varie criticità.

Amo portare la mia esperienza sportiva all’interno delle organizzazioni con cui lavoro perché mi permette, attraverso esempi mirati, di spiegare la complessità dei processi rendendola più gradevole e comprensibile per tutti e proprio per questo motivo seguo anche diversi progetti finalizzati a diffondere le dinamiche sportive all’interno delle organizzazioni perché credo che molte regole legate allo sport possano essere replicate per favorire creatività ed innovazione anche nelle imprese.

Quando mi trovo ad illustrare quello che sarà il mio lavoro in azienda uso un parallelismo con il mondo dello sport, ed è quello del preparatore atletico: io mi presento come il loro preparatore atletico, pronto a guidare il loro training, pronto a supportarli attraverso le sfide più dure, l’acido lattico, il sudore, per raggiungere la giusta preparazione ed affrontare il campionato; d’altronde la trasformazione digitale non è una sfida semplice, bisogna essere molto allenati per ottenere dei successi.

Quale è la sua definizione di Innovazione?

In realtà sono molte le definizioni di innovazione, ma secondo il mio punto di vista l’innovazione è fare meglio, trovando soluzioni e risolvendo problemi attraverso l’utilizzo di modi diversi rispetto a quelli già disponibili ed a portata di mano.

Quali sono, secondo la tua esperienza, gli step da mettere in campo per avviare un processo di Digital Transformation?

Sicuramente sono diversi e possono essere suddivisi in:

FASE 1. ANALISI DEI PROCESSI

La prima fase consiste nell’analisi dei processi aziendali.

Il primo step,  per dare il via alla trasformazione digitale, è sicuramente quello di capire come funziona l’azienda, i suoi processi interni ed individuarne i possibili colli di bottiglia.

E’ necessario definire i processi, analizzare come viene portato avanti il lavoro e parlare con i professionisti di ogni area, in maniera tale da poter avere una visone di insieme sul funzionamento di tutta l’azienda. Ritengo molto importante, in questa fase, ascoltare e prendere nota anche di quelle che sono le cose che funzionano, le best practice che possono fornire ulteriori informazioni sulla gestione dei  processi. Parlare con tutti e non solo con il titolare o con il 1°livello di manager è fondamentale per ottenere dei risultati ed il coinvolgimento delle persone nel cambiamento.

FASE 2. SELEZIONE DELLE COMPETENZE

Spesso, dopo avere analizzato e compreso il funzionamento dell’azienda e dei vari processi, diventa necessario selezionare delle figure sia interne che esterne per coprire quei ruoli e quelle aree che possono risultare scoperte. Va detto però che, certe volte, non è bene assumere subito una persona prima di aver finito il processo di trasformazione, perché si corre il rischio di coinvolgerla ed insegnarle i processi vecchi, andando così a vanificare il suo possibile apporto.

Inoltre, per aiutare l’azienda nel processo di Trasformazione Digitale può essere utile  richiedere il supporto di un consulente esterno che abbia una visione d’insieme dei processi, coinvolgendo eventuali figure che abbiamo conoscenza di dominio dell’area che va implementata, al fine di mettere l’organizzazione nella condizione di poter poi procedere in completa autonomia dopo avere acquisito il know-how necessario.

FASE 3. IMPLEMENTAZIONE ED AVVIO DEL PROGETTO

Questa è la fase più critica perché vengono coinvolte molte figure, appartenenti a diversi ambiti e con esigenze diverse, diventa perciò fondamentale gestire i rapporti tra i professionisti delle varie aree, con cura e sensibilità, facendo convergere gli sforzi e le energie di tutti verso l’obiettivo comune dell’azienda. Si passa poi allo START & GO, ovvero l’avvio di tutti i progetti ( per fare un paragone con lo sport questa fase corrisponde all’avvio del campionato, si inizia quindi a giocare ).

In azienda l’avvio dei progetti non corrisponde alla fine di un percorso ma all’inizio dello stesso, poiché, con la messa a regime dei progetti, iniziano a venire pian piano fuori tutte le cose da rivedere, le esigenze da soddisfare, le mancanze da implementare, le basi da sviluppare: si inizia perciò un percorso nuovo e diverso, in cui spesso e volentieri si va a mettere mano al modello di business per innovarlo sulla base delle ultime informazioni acquisite. 

 

Lei ha una metodologia che preferisce utilizzare quando si occupa di trasformazione digitale? Agile, Design Thinking Design Sprint etc...

Io uso diversi strumenti ma non sono innamorato di nessuno in particolare, dipende dalle situazioni. In alcune fasi amo utilizzare i post-it perché aiutano a visualizzare e comprendere meglio alcune cose. Nella fase di implementazione utilizzo il BPM perché mi permette di far vedere e spiegare bene come funzionano i processi e progettarne di nuovi. Potrei tranquillamente dire che il mio approccio è un mix tra Design Thinking e Agile.

 

Secondo il suo punto di vista la leadership per poter guidare  adeguatamente un’azienda deve obbligatoriamente  essere in possesso di competenze digitali?

Sicuramente ci vogliono persone in grado di avere una visione d’insieme e delle competenze trasversali tali da poter essere sempre in grado di comprendere e gestire al meglio ogni situazione; la leadership deve conoscere il digitale, senza necessariamente andare nel dettaglio, ma soprattutto deve avere competenze in ambito di gestione dei progetti e delle persone: in poche parole la leadership deve essere abile nella gestione della complessità. 

 

Sulla base della sua esperienza quale specializzazione o competenza verticale è più importante per lavorare come innovation manager?

Bella domanda...sicuramente mi sento di dire che una delle qualità più importanti è la capacità di gestire i progetti, la complessità e l’abilità di relazionarsi con le persone.

Bisogna essere in grado di saper ascoltare, risolvere i problemi e gestire efficacemente i gruppi durante i progetti condivisi.

 

Ha qualche consiglio o suggerimento di lettura per tutti quelli che sono interessati a scoprire qualcosa di più su questo settore e sul lavoro di Innovation Manager?

Mi sento di suggerire alcune letture che ho trovato molto interessanti:i due libri di Ivan Ortenzi dedicati all’innovazione, il testo “Community Manager” di Osvaldo Danzi, i libri di Alessandro Donadio sulla gestione del personale, “La pratica” di Seth Godin e “Marketing Scientifico” di Francesco Sordi.

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