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E se lasciassimo spazio alle macchine?

E se lasciassimo spazio alle macchine?

13 Giugno 2018 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Il futuro è tecnologico ma sempre più precario e debilitante. Altri futuri migliori sono possibili ma solo se si sapranno governare spinte economiche, ambientali e sociali in ottica di cambiamento e trasformazione, a favore di tutti e non solo di pochi. Riuscire a farlo è complicato se non si cambiano rapporti di forze e relazioni sociali. Punto di partenza è una riflessione sul ruolo della tecnologia nella cancellazione di posti di lavoro e nella precarizzazione della vita dei lavoratori.

L'avanzata delle macchine

 

L'automazione e la proliferazione di macchine intelligenti in azienda sono diventati temi pop per tutti i media tradizional (Nino il barista italiano che sta facendo arrabbiare i baristi di Las Vegas), quelli digitali e online.

L'immaginario individuale e collettivo sono colpiti dalla rapidità della rivoluzione in corso, dall'accelerazione nell'evoluzione delle macchine e dale molteplici intelligenze artificiale emergenti. Sorprende l'ampiezza degli ambiti di applicabilità, non più solo manuali ma anche cognitivi. Infine preoccupa l'impatto sul mondo del lavoro in termini di perdita di posti di lavoro ed effetti collaterali vari.

Gli effetti non sono adducibili solo alla tecnologia ma si declinano principalmente in maggiore precarietà, salari ridotti e crescente disoccupazione.

L'avanzata delle macchine caratterizza la fase attuale del capitalismo e suggerisce a tutti una riflessione sul suo futuro. La riflessione obbliga a dotarsi di nuove mappe cognitive, di nuove narrazioni e di nuovi strumenti di analisi, ma soprattutto a cercare di comprendere la maggiore complessità del mondo contemporaneo per individuare strategie utili ad affrontare le numerose sfide che si presenteranno. In primo luogo le sfide del mercato del lavoro e dell'aumento del surplus della popolazione senza lavoro, o con un lavoro diventato precario, insicuro e sottopagato.

Resistere o accettare la sfida?

 

La tecnologia non è né buona né cattiva ma non è neppure neutrale.

La tecnologia può essere percepita come responsabile della perdita di posti di lavoro o strumento abilitante per crearne altri. Di fatto è una realtà con la quale bisogna confrontarsi, dandone per scontata la non neutralità nel determinare il benessere dei lavoratori, nell'alimentare le loro ansie e paure, o entrambe le cose.

Resistere alla sua avanzata non è probabilmente la reazione adeguata così come si è dimostrata inefficace in passato la resistenza più dura, quella esercitata dai Luddisti protagonisti della rivoluzione industriale. Resistere è un'azione passiva, di reazione e difensiva, che fa pensare al tentativo nostalgico di aggrapparsi al passato opponendosi al mondo nuovo che emerge. Meglio essere moderni e come tali realisti!

Tecnologia e modernità

 

La rivoluzione tecnologica in atto è tutta dentro la modernità, interpretata dal pensiero neoliberista dominante come strumento di progresso e di futuri sempre migliori. Nella realtà la modernità si manifesta anche in fenomeni che hanno determinato malessere e ansia crescente per un numero elevato di persone, disuguaglianze diffuse, precarietà del lavoro e una visione manageriale della realtà. Tutto l'opposto di ciò che al progresso può essere cognitivamente collegato in termini di emancipazione, sviluppo, crescita e miglioramento.  Concetti questi che però potrebbero essere recuperati attraverso una reinterpretazione del concetto di progresso con una sua declinazione diversa in termini di finalità, obiettivi e beneficiari finali. Se il progresso attuale premia una minoranza e penalizza la stragrande maggioranza, può essere lecito metterne in discussione la sua valenza positiva.

Reinterpretare la modernità significa fare i conti con la tecnologia moderna, il suo sviluppo e le sue rivoluzioni. Non soltanto nell'ambito dell'informazione ma anche in quello medico e biologico, farmaceutico, robotico e dell'automazione. Fare i conti significa aprirsi a nuove sperimentazioni (la vita è comunque una serie infinita di sperimentazioni) e innovazioni, adottare la trasformazione digitale come strumento teorico così come insieme di buone pratiche con le quali intervenire sulla realtà. L'intervento sulla realtà è sempre più necessario se si vuole cambiare prospettiva e direzione a una realtà emergente fatta da un numero minore di posti di lavoro disponibile, da un numero crescente di persone in cerca di una occupazione e da un piccolo numero di fortunati che il lavoro stabile lo hanno trovato e sperano di poterselo mantenere.

Un futuro senza lavoro

 

Economisti sia di destra sia di sinistra si stanno interrogando da tempo sul ruolo della tecnologia nella sparizione di posti di lavoro. Le loro riflessioni e idee convergono nell'evidenziare un fenomeno in atto ma divergono nell'interpretazione che ne danno.

Per i primi l'automazione e la robotizzazione del mondo del lavoro non sono altro che nuovi strumenti che l'economia capitalistica può usare per consolidare il suo potere, finalizzato al progresso. I secondi si interrogano sulle numerose contraddizioni del fenomeno in corso che metteranno in crisi il sistema attuale, creando nuove condizioni sociali capaci di favorire l'emergere di alternative e di futuri diversi da quelli fin qui sceneggiati dal modello economico vigente.

Il fenomeno su cui si esercitano economisti, politici e studiosi di varie tendenze non è nuovo. Il sistema capitalistico ha sempre sfruttato la disoccupazione come strumento di potere per tenere bassi i salari, impedire forme diverse di lotta e di rivendicazione, agire sulla politica e salvaguardare ricavi e guadagni. Oggi però a cambiare in profondità l'elemento disoccupazione è l'aumento crescente del numero di persone che perdono il posto di lavoro a causa delle innovazioni tecnologiche che permettono di produrre gli stessi risultati con una manodopera minore.

In base ai dati storici si tende a sottolineare che la disoccupazione non si sia in realtà mai discostata molto da percentuali considerate fisiologiche. Si dimentica però che, se ciò è avvenuto, è anche stato grazie alla forza contrattuale dei lavoratori, dei loro sindacati e  delle politiche dei governi che hanno portato alla riduzione delle ore lavorative, a una maggiore redistribuzione della ricchezza e a politiche si sostegno al reddito e di welfare che hanno in qualche modo reso meno problematica la perdita del posto di lavoro.

La tecnologia è oggi la causa più visibile della perdita di posti di lavoro, anche se non è l'unica. Altre cause sono reperibili nella globalizzazione, nella esclusione di donne e minoranze dal mondo del lavoro e nella precarizzazione del rapporto di lavoro che crea un'occupazione fittizia e una disoccupazione di fatto. La crescente versatilità, intelligenza, capacità di apprendere e applicabilità di robot umanoidi (CGIL, Uber, Robot e algoritmi vari) e intelligenze artificiali (Intelligenze Artificiali capaci di programmare!) sul posto di lavoro, sta facendo abbassare i costi e rendendo meno necessario che in passato salvaguardare i posti di lavoro esistenti o crearne di nuovi.

Senza lavoro si muore

 

Come stanno illustrando molto bene le ultime vicende politiche con i loro risultati cha hanno premiato forze populiste e anti-istituzionali, la realtà raccontata dai media e dai governi è ben diversa da quella vissuta da un numero crescente di persone.

Una realtà, quella reale, fatta da persone costrette a vivere male perché costantemente alla ricerca di fonti di reddito, semplicemente per poter sopravvivere, da persone finite nell'indigenza per la mancanza di sistemi di welfare adeguati, da varie tipologie di lavoratori appartenenti al ceto medio, compresi professionisti, manager e dirigenti d'azienda, che essendosi ritrovati senza lavoro temono di precipitare nella condizione di proletari. Con questa realtà, concreta, e dolorosa dovranno confrontarsi tutte le visioni future, anche per evitare l'affermarsi di reazioni e forme di protesta capaci, come è già avvenuto in passato, di mettere a rischio il sistema esistente.

La precarietà e l'economia dei lavoretti (I lavoretti occasionali della Gigonomics - Gig Economy) non sono altro che effetti indiretti della crisi del lavoro attuale.  Effetti in parte voluti e gestiti per esercitare una pressione sempre maggiore su chi un lavoro ce l'ha sfruttando un esercito di riserva sempre numeroso, ma anche per aumentare la produttività e tenere bassi i salari. Da questi effetti ne derivano altri che si manifestano nella sfera personale in varie forme di stress, ansie, patologie varie, depressione e anche suicidi. La sommatoria di questi effetti descrive una situazione globale drammatica e che non è destinata a cambiare, considerando che la ripresa economica è, dalla crisi finanziaria del 2008, una ripresa senza lavoro. Altri effetti collaterali vanno identificati nella crescita costante dell'urbanizzazione (le metropoli monstre viste come luogo di fuga e salvezza), nel cambiamento e nel crollo della formazione universitaria (minori possibilità di ascensione sociale), nell'aumento della xenofobia, del razzismo e delle politiche anti-immigrati.

Proliferazione e diffusione di robot

 

L'evoluzione attuale della tecnologia lascia prefigurare un'economia completamente automatizzata, robotizzata e funzionante attraverso macchine intelligenti e intelligenze artificiali.

Tecnologie capaci di trasformare alla radice interi settori industriali, non solo quello manifatturiero ma anche quello bancario, borsistico, ecc., e ambiti lavorativi come la produzione, la logistica, la distribuzione e la vendita al dettaglio. Chi cavalca l'automazione lo fa perché convinto di poter aumentare la produttività, generare abbondanza e ricchezza e liberare l'umanità dalla schiavitù del lavoro. Chi perderà il lavoro per colpa dell'automazione sa di poter disporre di maggiore tempo libero ma probabilmente di minori disponibilità finanziarie utili ad alimentare la domanda e il consumo ma soprattutto a garantirsi una vita di qualità o semplicemente decente.

A rischio perdita del posto di lavoro sono tutti.

Secondo molti analisti nei prossimi venti o trent'anni la percentuale di posti di lavoro a rischio potrebbe essere tra il 50% e l'80%. A essere sostituiti dalle macchine non saranno solo i lavoratori manuali o quelli della logistica ma anche i lavoratori cognitivi (alcuni studi parlano di più di 150 milioni di lavori a rischio in tutto il mondo) che, invece di spostare articoli o pacchi in un magazzino Amazon, spostano e cliccano su simboli e icone che scorrono su un display (è di questi giorni la notizia del taglio di quasi 30000 posti di lavoro alla Citybank). Il risultato sarà una forte riduzione dell'offerta di opportunità lavorative e forse una completa automazione che si manifesterà nelle aziende ma anche nella società con auto senza autista, assistenti personali per la cura di anziani e babysitting, negozi senza dipendenti, ospedali con un numero limitato di medici e infermieri e scuole senza insegnanti.

Resistere o lasciarsi sostituire?

 

Nella fase attuale di evoluzione delle tecnologie per l'automazione, si può decidere di resistere o impegnarsi per chiedere di farsi sostituire sulla base di uno scambio, finalizzato a ridurre la schiavitù dal lavoro e a rendere possibile la fuga dalla precarietà.

La richiesta di farsi sostituire da un robot (L'avanzata dei robot a caccia di nuovi posti di lavoro) o da una macchina intelligente può essere vista come una semplice provocazione ma nel futuro prossimo venturo (Un futuro robotico non necessariamente alieno) potrebbe diventare un vero e proprio obiettivo politico. Da realizzare all'interno di una visione del futuro nel quale si potranno esercitare forze politiche di destra e di sinistra. Forze che già oggi hanno fatto la loro apparizione in molti paesi occidentali, i più toccati dalla crescita senza lavoro perché i più soggetti alla concorrenza dell'esercito di riserva di cui dispone il capitalismo globale attuale.

La sua fattibilità non è ancora stata dimostrata ma il reddito di cittadinanza, proposto come programma politico, ha permesso al Movimento Cinque Stelle di vincere le elezioni italiane del 2018. E' come se una parte dell'elettorato italiano avesse rivendicato una scelta, molto sociale e politica, per sfuggire al problema del lavoro, percepito come difficilmente risolvibile negli scenari economici e tecnologici correnti. Una scelta che potrebbe diventare in futuro l'unica scelta possibile se l'automazione dovesse proseguire a mangiare posti di lavoro e aumentare la precarietà. Il reddito di cittadinanza o di base dovrebbe essere disponibile a tutti, in modo da garantire la sopravvivenza e/o di trasformare la propria condizione di precarietà in una di flessibilità volontaria.

Fonte: Euronomade

Il reddito di cittadinanza pentastellato difficilmente troverà una sua implementazione effettiva ed efficace. Troppo forti sono le forze che vi si oppongono, sia in ambito politico sia sociale. L'ideologia dell'etica del lavoro ad esempio non faciliterà l'affermarsi 'etico' di una vita senza lavoro. Se l'automazione è destinata a diffondersi e non sarà in grado, come alcuni pensano, di creare posti di lavoro alternativi e diversi, la richiesta di un reddito di cittadinanza potrebbe diventare il cavallo di battaglia di nuove generazioni di lavoratori alla ricerca di un futuro, non necessariamente omologato a quello prefigurato dalle forze attualmente in campo. Un futuro utopico, forse sognatore e immaginario, nel quale la mancanza di un posto di lavoro possa essere considerato la condizione elementare per una libertà effettiva, non solo teorica e ideologica, perché legata a un reddito garantito.

L'utopia non è più un luogo molto frequentato e forse neppure sognato. I suoi spazi sono stati sostituiti dai luoghi virtuali della Rete. Invece di usare l'utopia per affermare la possibilità di mondi futuri diversi, ci si è rifugiati online per fuggire dalla realtà e negare il presente. La negazione è riferita alla realtà precaria che molti sperimentano online, nel tentativo di trovare sollievo al malessere e alle ansie da assenza di lavoro e/o di reddito. In assenza di utopie e nell'incapacità di immaginarle, si continuerà a soffrire accontentandosi dei placebo digitali. In alternativa ci si può impegnare nell'elaborazione di futuri possibili e nell'affermazione di rivendicazioni finalizzate a proporre soluzioni alternative alla mancanza di lavoro. Le rivendicazioni devono puntare a una redistribuzione del reddito e a una diminuzione delle disuguaglianze. Se queste rivendicazioni ottenessero risposte positive, nulla vieterebbe di sostenere una maggiore automazione (Forza lavoro e automazione: un futuro incombente e poco rasserenante?) e più diffusa trasformazione tecnologica.  Se le rivendicazioni non venissero ascoltate ci si troverebbe tutti a doversi confrontare con scenari potenzialmente distopici e pieni di pericoli. Come quelli che già emergono dalla situazione attuale e che sono identificabili nell'aumento dei problemi sociali determinati dall'assenza di lavoro e dal lavoro precario, nel prevalere di tendenze razziste e xenofobe contro immigrati accusati di rubare lavoro e salario, nel ritorno della misoginia come strumento per ridurre parte della domanda di lavoro (le donne stiano tra le mura domestiche!), nell'imposizione di dazi doganali per favorire i mercati, le aziende e i posti di lavoro nazionali e nell'affermarsi di forze politiche regressive e illiberali capaci di rompere equilibri di convivenza consolidati ma senza avere una visione alternativa del futuro del mondo del lavoro.

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* Spunti per questo articolo sono derivati dalla lettura del libro "Inventare il futuro" pubblicato in Italia da Neroeditions

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