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L'assenza di autentico dialogo è problema centrale del nostro tempo ( Stefano Zampieri)

L'assenza di autentico dialogo è problema centrale del nostro tempo ( Stefano Zampieri)

09 Marzo 2021 Il consulente filosofico
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Non c’è singola consulenza filosofica o laboratorio di pratica filosofica che non mi abbia imposto una riflessione, che non mi abbia posto delle domande teoriche alle quali era necessario dare risposta. Credo sia proprio specifico del lavoro filosofico il mettersi costantemente in questione. Il filosofo non è mai arrivato alla fine del suo percorso.

La filosofia è proprio un viaggio senza termine ultimo, o se vogliamo è proprio quella “analisi interminabile” di cui parlava Freud. Per usare una formula la guida del nostro lavoro non può che essere l’indicazione socratica del non sapere.

Consulenza filosofica e dialogo socratico nell’era tecnologica

 “La tecnica è la magica danza che il mondo contemporaneo balla!” – Ernst Junger -  “Da me non hanno imparato nulla, bensì proprio e solo da sé stessi molte cose e belle hanno trovato e generato; ma d'averli aiutati a generare, questo sì, il merito spetta al dio e a me.” - Socrate (Teeteto)

L’era tecnologica e digitale suggerisce leadership riflessive, dialoganti, capaci di interpretare le categorie dell’efficienza organizzativa, delle capacità individuali e dell’efficacia alla luce della rivoluzione tecnologica e nell’ottica delle persone.

Internet, smartphone, piattaforme social hanno trasformato ogni attività online in conversazioni, spesso caratterizzate dalla superficialità dell’interazione e dalla brutalità del linguaggio. Conversare però non è dialogare. Dialogo significa parlare attraverso, con il desiderio di trovare un punto in comune. Il dialogo è anche mettersi nei panni degli altri, non è un semplice scambio di opinioni, neppure una discussione dialettica finalizzata ad avere ragione. Si basa sull’ascolto dell’altro, sulla capacità di catturare l’attenzione reciproca e sull’ottenimento di un consenso generale. 

Il dialogo oggi è anche strumento della pratica filosofica che il consulente filosofico utilizza con persone che vivono l’era digitale attuale con incertezza, disagio, ansia, stanchezza e insoddisfazione. Il dialogo serve a porsi domande, a guardare alla realtà in modo diverso, a superare schemi fissi e i paradigmi che li sostengono, bias di conferma, per andare alla ricerca di nuove strade. Il dialogo è importante, fondamentale, per superare i conflitti e nella consulenza filosofica diventa cura e prendersi cura. Di dialogo, consulenza filosofica, era tecnologica, leadership e organizzazioni abbiamo deciso di parlare, in forma di intervista, con manager d’azienda, consulenti filosofici, leader di mercato e studiosi.  

L’intervista è condotta da Carlo Mazzucchelli (fondatore di www.solotablet.it e scrittore) e Maria Giovanna Farina (filosofa, Consulente filosofico e scrittrice) con Stefano Zampieri, Mediatore filosofico con ampia esperienza individuale e di gruppo; scrittore di cose filosofiche, ma anche creativo, blogger e podcaster. Per passione fotografo.


 

Buongiorno, può raccontarci qualcosa di lei, della sua attività attuale come consulente filosofico? A chi si rivolge la sua attività di pratica filosofica? Nella sua attività quanto è sentita la necessità di una riflessione critica sulle nuove tecnologie, sull'era tecnologica e dell'informazione attuale? In che modo la sua attività può indurre il cambiamento che tutti sembrano oggi ricercare? 

Dopo essermi laureato all’Università di Venezia con Mario Ruggenini e Salvatore Natoli ho cominciato un percorso di ricerca che mi ha portato a pubblicare numerosi studi, su Blanchot, Heidegger, Savinio, Celan, e sulla testimonianza filosofica della Shoah. Da un ventina d’anni mi occupo professionalmente di pratiche filosofiche. In questo campo la mia formazione  è avvenuta prima a Milano presso il Centro per lo Studio delle Pratiche Filosofiche e l'associazione Sofia, e poi in Phronesis - Associazione italiana per la consulenza filosofica. Sono stato  membro del Direttivo, e Presidente della medesima Associazione.

Dal 2003 realizzo laboratori di Pratiche Filosofiche per varie associazioni e in vari contesti e ho aperto uno dei primissimi studi professionali per l'esercizio della Consulenza Filosofica. Ho tenuto seminari e conferenze sulla Consulenza Filosofica, e ho collaborato con i Master in consulenza filosofica dell’Università di Venezia, dell’Università di Messina e di Roma III. Ho tenuto seminari presso le Università di Venezia, Milano, Padova. Attualmente collaboro con il Master in Criminologia dell’Istituto Universitario Salesiano di Venezia. 

Nel 2012 ho fondato Zona Filosofica, innovativo progetto per uno spazio interamente dedicato alla pratica filosofica. Ho pubblicato nel 2013 il primo Manuale della consulenza filosofica (editore Ipoc), ma anche Introduzione alla vita filosofica. Consulenza filosofica e vita quotidiana, Mimesis, 2010 e L’esercizio della filosofia, Apogeo 2004. Ho curato il volume collettivo Sofia e polis. Pratica filosofica e agire politico, Liguori, 2012.

Faccio il formatore per varie Associazioni, e ho realizzato innumerevoli progetti di pratica filosofica in scuole, biblioteche, istituzioni pubbliche e private. Il mio blog (http://stefano-zampieri.blogspot.com/) conta oltre 22.000 contatti, e ho un canale Youtube su cui sono apparse numerose conversazioni intorno alla pratica filosofica. 

 

Si dice che Internet sia Conversazione (The Clutrain Manifesto). Il mondo interconnesso globalizzato dalla tecnologia ne è una testimonianza palese. Dispositivi, applicazioni e piattaforme facilitano interazioni, conversazioni, colloqui. È come se tutti stessimo dialogando. In realtà la pratica del dialogo (διά- λογος - attraverso le parole) online è la grande assente, sia nelle interazioni personali sia in quelle lavorative e professionali. Online si legge poco, superficialmente, non si presta attenzione, la concentrazione è scarsa, prevalgono l’urlo e la brutalità del linguaggio, si praticano la promozione e la vendita (anche di sé stessi) più che la persuasione. Lei cosa ne pensa? Come vede il dialogare online, anche filosofico? In che modo si potrebbe alimentarlo e coltivarlo?  

Certamente il problema dell’assenza di autentico dialogo è uno dei problemi centrali del nostro tempo.

In questo senso io credo, contrariamente a ciò che molti ritengono, che l’abuso di comunicazione on line non sia la causa della difficoltà che incontriamo nel dare vita a momenti di autentico dialogo, ma ne sia piuttosto una conseguenza.

I messaggi via social, e le comunicazioni a distanza non sono necessariamente più povere e superficiali, lo diventano quando alla base non c’è affatto il desiderio di comunicazione ma piuttosto una continua, infinita, incontenibile, competizione fra individui troppo poveri di spessore personale, privi di identità, poveri di ideali e di idee, che attraverso il chiacchiericcio, sia esso on line o dal vivo, cercano una qualche debole forma di affermazione e di riconoscimento. Il fenomeno degli odiatori da testiera si spiega solo così a mio modo do vedere.

Dunque il dialogare on line non è affatto impossibile, certo è difficile da realizzare se al principio non c’è un desiderio autentico e profondo di confrontarsi e di mettersi in gioco. La distanza purtroppo rende più facile l’eclissare le proprie responsabilità e nascondersi dietro l’anonimato.

Questo periodo ci ha costretti a fare esperienza continua di attività anche filosofiche realizzate on line. Io stesso, all’inizio piuttosto scettico ho dovuto ricredermi: se chi partecipa lo fa con trasparenza, rispetto dell’altro, e interesse all’ascolto, allora l’esito può essere davvero eccellente. La possibilità di incontrarsi senza muoversi da casa, da limite può essere rovesciato in una opportunità.

 

Saper dialogare non è importante solo online. Lo è nella vita, nelle aziende, nelle organizzazioni e nella società. Il dialogo serve a migliorare la capacità di formulare pensieri, a coltivare la capacità e la sensibilità di ascolto, a andare in maggiore profondità, a praticare il pragmatismo della comunicazione e a conoscere meglio sé stessi e gli altri. Il dialogo serve a togliere la maschera alle cose e alle persone, a aprire nuove possibilità di conoscenza (anche del Sé), di consapevolezza e di relazione. Quanto conta secondo lei il dialogo nelle pratiche quotidiane, individuali, professionali e lavorative? Quanto importante ritiene che esso sia in aziende e organizzazioni nella fase attuale di trasformazione digitale, di smartworking e didattica a distanza, e di conversazioni online? 

Credo che il dialogo sia fondamentale in ogni dimensione, sia quella della vita quotidiana, sia quella professionale, sia quella educativa o amicale.

Il punto è che ci sono tante forma diverse di dialogo, con presupposti diversi e finalità diverse, per cui non è semplice parlare di dialogo in generale alludendo nello stesso momento a tutte le dimensioni.

Certo, è possibile far notare che il dialogo non è un gesto tra tanti ma è una forma ben precisa della relazione umana, quella nella quale gli individui cercano la comprensione reciproca, e da questo punto di vista il primo presupposto di ogni dialogo realizzato è la disponibilità ad ascoltare l’altro. Il rischio infatti è sempre quello che il dialogo si riduca a monologo, mentre lo scambio tra individui è costruzione comune, nella quale ognuno tanto dà quanto prende, tanto propone quanto acquisisce, tanto insegna quanto impara.

Personalmente ho sempre cercato nelle mie diverse attività professionali, formatore, docente, consulente, filosofo pratico, di indicare come fonti del dialogo il linguaggio d’esperienza e il desiderio di testimonianza. Farsi portatori di una realtà testimoniale è sempre un punto di partenza efficace per il dialogo, cioè per avviare quel percorso comune che costruisce le nostre reciproche persuasioni.

Molti consulenti filosofici che hanno preso a modello Socrate e non solo, fanno della formazione lo strumento e la chiave delle loro pratiche filosofiche. Ma il filosofo non è un insegnante, neppure un educatore, semmai un maestro come lo è stato Socrate, sempre alla ricerca di conoscenza, anche del sé, di nuove mappe della realtà e di nuove verità. Il maestro non ha alunni, studenti o allievi ma discepoli. La ricerca, che parte dal non sapere, non va confusa con l’educare che si basa sulla trasmissione di un sapere acquisito e consolidato. Mentre l’educazione trasferisce cose e concetti già pronti, idee già masticate e digerite, la ricerca serve a creare cose nuove, a partire da nuove idee e nuove concettualizzazioni del mondo, Da consulente filosofico lei cosa pensa? Si sente filosofo, educatore, maestro, ricercatore? Che importanza ha per lei continuare a fare ricerca e che importanza ha nella pratica filosofica da consulente?  

Ho sempre pensato che il lavoro del filosofo pratico o del consulente filosofico fosse, nello stesso momento, un lavoro sulla realtà, attraverso il dialogo, e un lavoro di ricerca.

Non c’è singola consulenza filosofica o laboratorio di pratica filosofica che non mi abbia imposto una riflessione, che non mi abbia posto delle domande teoriche alle quali era necessario dare risposta. Credo sia proprio specifico del lavoro filosofico il mettersi costantemente in questione. Il filosofo non è mai arrivato alla fine del suo percorso.

La filosofia è proprio un viaggio senza termine ultimo, o se vogliamo è proprio quella “analisi interminabile” di cui parlava Freud. Per usare una formula la guida del nostro lavoro non può che essere l’indicazione socratica del non sapere.  

 

Molti filosofi, consulenti con formazione umanistica si stanno oggi cimentando nella consulenza filosofica. Con quali risultati è difficile dirlo, soprattutto perché diversi sono gli approcci e le metodologie adottate e proposte. Secondo lei esiste un unico metodo universale per la consulenza filosofica o ne esistono diversi? Qual è quello da lei adottato e/o quale considera il più adeguato in una realtà mediata e ibridata tecnologicamente? Una realtà accelerata, caratterizzata dal costante cambiamento, che obbliga a cambiare modi di pensare e paradigmi, a aprire la mente e a elaborare pensiero critico.  Una realtà che obbliga aziende e persone a cambiare ma che non hanno necessariamente pensato che una consulenza filosofica potrebbe fornire loro la giusta soluzione. 

La questione del metodo nella consulenza filosofica è sempre stata molto controversa. Personalmente sono arrivato alla conclusione che un metodo esiste anche se non ha la rigidità di altri approcci. Ritengo che lo si possa sintetizzare in tre momenti, quello biografico, di narrazione dell’esistenza e delle sue contraddizioni, quello della emersione dei temi dominanti e infine quello della “messa in questione” degli stessi. Ove s’intenda l’espressione come una formula tecnica vera e propria. 

Sinteticamente: in un primo momento l’ospite è indotto a sdoppiarsi, in un io tessitore e in un io vissuto, creando quella situazione di narrazione di sé che è sempre anche ricostruzione; attraverso questo percorso narrativo si giunge a evidenziare obiettivi, ostacoli, conseguenze, responsabilità, limiti, possibilità e impossibilità, giudizi, conflittualità, rapporti, realizzazioni e sconfitte, scelte, valori, dilemmi, ecc. che poi devono appunto essere messi in questione, cioè ripuliti delle incrostazioni dei luoghi comuni e dei pregiudizi, e interrogati filosoficamente per saggiare la complessità di ogni tratto dell’esistenza. 

La conclusione della consulenza filosofica non può che essere una trasformazione del soggetto attraverso processi di appropriazione, di ridescrizione, di creazione e scoperta, di progettazione, di definizione di ruoli o di realizzazione di un equilibrio. Ovviamente si tratta di questioni piuttosto complesse sulle quali ho cercato di fare il punto nel mio Manuale della consulenza filosofica 

 

Prima della consulenza filosofica c’è la filosofia e l’essere filosofo. La filosofia fa parte della vita di ogni consulente filosofico. Cosa significa per lei filosofare? Come è arrivato/a fare il consulente filosofico, con quali motivazioni e attraverso quale percorso? Cosa è per lei la consulenza filosofica? Non le sembra strano che proprio mentre la filosofia sta attraversando un periodo problematico nelle scuole e nelle università, sia diventata strumento e pratica rilevante all’interno di numerose aziende e organizzazioni (in Italia forse meno che in altri paesi)?  

La filosofia per me non è soltanto una disciplina fra le molte possibili, ma è una scelta di vita. Io penso che prima di tutto si tratti di vivere filosoficamente.

E certamente questo deve essere l’obiettivo di chi opera nella dimensione della consulenza filosofica o delle pratiche filosofiche. Bisogna però distinguere e chiarire: la filosofia è ovviamente prima di tutto la disciplina che abbiamo studiato, l’archivio straordinario delle opere che la storia ci ha consegnato, una intera tradizione che bisogna conoscere adeguatamente.

Ma soprattutto bisogna saper dominare cogliendo il punto di partenza di ogni atteggiamento filosofico al di là delle singole dottrine, ovvero il passo indietro, la presa di distanza dalle cose da cui scaturisce quella meraviglia che i grandi hanno fissato come origine della filosofia. Cioè di quella modalità del discorso razionale orientata alla verità con una prospettiva panoramica.

Il filosofo dice sempre “noi” anche quando dice “io”. Di suo la variante che ci impegna, che io preferisco chiamare prassi filosofica, ha alcune caratteristiche ben chiare: l’oralità, la dialogicità, la circolarità, la prevalenza del discorso di esperienza, l’implicazione dei soggetti, cioè la presenza attiva di tutti i partecipanti, la loro messa in gioco.  

 

Ciò che la consulenza filosofica offre non sono risposte e domande poste mille volte ma la ricerca della domanda giusta, capace di cambiare la prospettiva alla radice sul problema preso in considerazione. In un’epoca accelerata dalla tecnologia, la consulenza filosofica suggerisce di rallentare, fermarsi, tacere e isolarsi dal brusio digitale di fondo, per riflettere e impegnarsi in un percorso di ricerca personale dal significato e effetti esistenziali. Perché un dirigente di azienda dovrebbe scegliere un filosofo come consulente? Per curiosità (aprirsi a prospettive inattese), disperazione, simpatia verso la filosofia, bisogno di acquisire un approccio critico e indipendente, libero da condizionamenti e pensieri abituali, difficoltà a accettare il conformismo diffuso, antipatia verso terapie psicologiche, o altro ancora? Lei cosa ne pensa?  

Non so esattamente perché un “dirigente d’azienda” dovrebbe scegliere la consulenza filosofica, non ho mai incontrato una persona che fosse dirigente d’azienda senza essere al contempo persona, figlio, marito/moglie, padre/madre, professionista, amico, sognatore, arrampicatore, amante, che non dovesse fare i conti cioè con tutti i suoi ruoli, che non si trovasse nella necessità di comprendere la rete di relazioni che rende la sua vita possibile, ma anche complicata e difficile da gestire, che non dovesse porsi il problema di entrare e uscire dai suoi ruoli in ogni momento della giornata, che non dovesse fare i conti con il sistema dei tempi e degli spazi di vita.

Ecco alle tante persone che ho incontrato nella mia vita ho sempre detto: scegli. La filosofia ti dà questa opportunità.

 

Uno degli ambiti nei quali potrebbe focalizzarsi la ricerca filosofica è quello tecnologico e digitale. Di nuovi libri su Socrate, Platone, Spinoza o Nietzsche non se ne sente una reale necessità. Di studi filosofici sulla tecnologia al contrario ce n’è un gran bisogno. Anche per i filosofi che hanno scelto la consulenza filosofica fatta di filosofia pratica e dialogo socratico. Una ricerca in ambito tecnologico non potrebbe essere definita astratta o lontana dalla vita ma molto pratica e concreta. Porterebbe a riflettere criticamente sulle molteplici realtà quotidiane mediate tecnologicamente, a sperimentare nuovi strumenti dialogici, tecnologici e digitali. Lei cosa pensa? Non ritiene urgente una riflessione critica sulla tecnologia e i suoi effetti? Nel suo ruolo di consulente filosofico che ruolo hanno le nuove tecnologie (piattaforme social, APP di messaggistica, strumenti come Zoom, Skype, ecc.?). 

Non c’è dubbio, oggi si sente profondamente la mancanza di una seria riflessione filosofica intorno alle nuove tecnologie, spesso ci si riduce al pamphlet d’occasione scritto con la mano sinistra per stigmatizzare o ironizzare, ma la questione è ben più profonda e decisiva per le nostre esistenze singole e collettive. Spesso anche in bocca e eminenti filosofi si sentono considerazioni superficiali sull’incidenza dei social e degli strumenti digitali che impongono invece un cambio di paradigma che è ancora tutto da interrogare. 

Non posso dimenticare che una riflessione filosofica per me centrale sul rapporto con la tecnica come Gilbert Simondon, Du mode d’existence des objets techniques attende ancora di essere tradotto.

Nel mio lavoro credo che il rapporto con le nuove tecnologie sia ancora allo stadio embrionale. La pandemia ci ha costretto a impratichirci con piattaforme come zoom, skype o meet, ho realizzato numerosi laboratori on line e i miei prossimi progetti avranno tutti questa forma. Ne ho tratto sensazioni complesse e contrastanti, credo che sarebbe utile a questo proposito un momento di riflessione collettiva e di condivisione di esperienze.  

Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a?  

Credo che un tema tutto da sviluppare sia proprio il modo in cui le nuove tecnologie modificano la forma del dialogo e il rapporto tra oralità e scrittura soprattutto nelle nuove generazioni. 

 

 

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