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2019: il miraggio dell’anonimato

2019: il miraggio dell’anonimato

24 Dicembre 2018 Redazione SoloTablet
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Il 2018 sarà ricordato anche per il fenomeno delle fake news e per il ruolo avuto dalle piattaforme di social networking nel diffonderle. Il fenomeno non sarebbe stato possibile se non esistessero Big Data pieni di dati e informazioni su ogni abitante della Rete. Dati che permettono di personalizzare la comunicazione e molto altro ancora.

Facebook, così come altre piattaforme di social networking, è un grande acquario, dalle pareti trasparenti  ma molto solide. Chi lo abita si illude di vedere fuori ma in realtà è sotto osservazione continua e costante. La trasparenza radicale che Fcebook chiede a chi usa la sua piattaforma non è altro che la richiesta di una complicità che si traduce nella condivisione di dati e informazioni ma anche nel lasciare tracce che possano essere trovate, raccolte e analizzate. 

Chi ha esultato per l’introduzione del GDPR in Europa, come strumento per proteggere la privacy,  non si deve fare illusioni. Ogni volta che ci colleghiamo lasciamo una infinità di tracce e soprattutto veniamo intercettati in una miriade di modi dei quali non siamo neppure consapevoli. O forse dei quali non ci curiamo neppure della loro riservatezza e sensibilità. 

Per molti la privacy online è già defunta, l’anonimato una pia illusione. Il 2019 lo confermerà e a poco serviranno eventuali nuove regolamentazioni di governance e di controllo. Il problema infatti non è tanto governare e controllare il flusso di dati e di informazioni quanto di intercettare e interdire algoritmi, sempre più intelligenti e pervasivi, capaci di manipolarli secondo logiche tipiche dell’essere umano, di apprendere dagli errori commessi e di evolvere. 

Lo scandalo di Cambridge Analytics ha messo in difficoltà Facebook e Twitter e dato origine a una riflessione ampia sul potere delle macchine, su quello di chi le produce e sugli effetti o le conseguenze che ne derivano. Si è compreso che le opportunità e i vantaggi della tecnologia hanno un prezzo che deve essere pagato da chi la utilizza. Le tecnologie offrono soluzioni a numerosi problemi ma ne creano degli altri. Ad esempio quando gli algoritmi e le intelligenze artificiali rischiano di andare fuori controllo o di essere usate per scopi non propriamente etici o finalizzati al bene comune. 

Ciò che sta emergendo, anche nella percezione della gente comune, è la perdita di controllo sulle proprie identità digitali e le loro attività online. Le une e le altre lasciano tracce, rendono accessibili dati personali e informazioni, segnalano comportamenti, stili di vita, preferenze e abitudini. Per proteggere il proprio anonimato bisognerebbe che tutti fossero a conoscenza di quanto trasparenti siamo diventati per le macchine intelligenti con le quali interagiamo. Non soltanto smartphone o piattaforme social ma anche sensori, auto e bici condivise, canali televisivi, ecc. Bisognerebbe poi che ognuno si interrogasse su cosa questa trasparenza potrebbe significare in termini di rischi per la privacy e la riservatezza personale, per la professione e il lavoro, per i propri beni finanziari, ma anche per la propria libertà e per la democrazia. Infine bisognerebbe che ognuno diventasse consapevole in modo da adottare forme più intelligenti di interazione con la tecnologia e azioni utili a salvaguardare la propria individualità e autonomia. 

Senza questa scelta individuale a nulla servono le regolamentazioni fin qui introdotte e nulla servirà per salvare l’anonimato che anche nel 2019 continuerà a rimanere un miraggio

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