Articolo pubblicato su “Viaggio in Terza Classe” (sfoglia on line)
Dalle inquiete soglie delle sale insegnanti e negli spazi amplificati dei media si lanciano spesso grida agitate sull’insipienza culturale delle nuove generazioni.
Si descrivono ragazzi sempre più in difficoltà a galleggiare fra la schiuma indistinta dei saperi digitali, sempre più sovraesposti ai linguaggi sincopati di propaggini elettroniche, sempre più estranei al pensiero sequenziale. Se il rischio dell’information overload è reale, la scuola – consapevole peraltro di aver perso il monopolio dell’informazione e dei modi di apprendere – deve imporsi come agenzia di sintesi e di ricomposizione olistica della possibile frammentazione cognitiva.
Deve insegnare a gestire l’enorme flusso di informazioni che arriva della rete, per guidare gli alunni verso un pensiero strutturato e critico. È questo un impegno – etico e civico, prima ancora che professionale – fortemente auspicato anche dalle Indicazioni nazionali per il curricolo che assumono la perizia digitale come una delle competenze-chiave per l’apprendimento, raccomandano l’utilizzo consapevole delle tecnologie nella quotidiana prassi didattica e sanciscono che la “diffusione di tecnologie di informazione e di comunicazione è una grande opportunità e rappresenta la frontiera decisiva per la scuola”.