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Gli algoritmi vanno messi al servizio di identità multiple (dialogo con Marco Minghetti)

Gli algoritmi vanno messi al servizio di identità multiple (dialogo con Marco Minghetti)

11 Novembre 2020 The sapiens
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Credo che non sia utile affidarsi troppo degli algoritmi e tantomeno inginocchiarsi di fronte alle loro profezie come se fossero pronunciate dall’Oracolo di Delfi. I software, come è spesso stato notato, riflettono i pregiudizi di chi li ha creati, perché sono scritti dagli esseri umani e si alimentano di big data forniti dagli esseri umani. Se fatti bene, però, sono strumenti che ci danno informazioni in più sulla realtà, sta a noi decidere come usarli. E il modo migliore per farlo è metterli al servizio di un progetto che consenta all’identità riscritta sul computer di perdere la propria fissità e permanenza, per esprimere la sua molteplicità: perché non vi sia più un’identità singola, ma un’identità plurima; non più una persona sola, ma più persone che identificano il medesimo soggetto.

“L'umanità si sta rapidamente dotando di un organo che la spossessa di sè stessa, del suo diritto di decidere, con coscienza e responsabilità, le cose che la riguardano. Prende forma uno statuto antropologico e ontologico inedito che vede la figura umana sottomessa alle equazioni dei suoi stessi artefatti, con l'obiettivo primario di rispondere a interessi privati e instaurare un'organizzazione della società in funzione di criteri principalmente utilitaristici.” – – Éric Sadin (Critica della ragione artificiale)

Scrive Noah Harari che “quando la tecnologia ci permetterà di reingegnerizzare le menti umane, Homo sapiens scomparirà […] e un processo completamente nuovo avrà inizio”. La previsione può rivelarsi errata ma se si riflette sulla profondità dei cambiamenti in corso e il ruolo che la tecnologia sta avendo nel determinarli, si comprende che siamo in una fase di cambio di paradigma. Quando il nuovo emergerà noi potremmo non essere più umani. Cyborgsimbionti, semplici intelligenze artificiali più o meno ibridate, potenti, intelligenti e capaci di apprendere ma non più umane.

Se questa prospettiva è verosimile è più che mai necessaria una riflessione approfondita, puntuale e critica di quanto sta avvenendo. Paradigmatico per questa riflessione è il tema dell’intelligenza artificiale che, più di altri, suggerisce bene il rischio e la sfida che tutto il genere umano si trova di fronte. Un rischio da molti sottovalutato e una sfida da molti accettata forse con eccessiva superficialità. Un tema che comunque è di interesse generale e vale la pena approfondire. E la riflessione deve essere fatta da tecnici, esperti, fautori della IA, ma senza mai dimenticarsi di essere esseri umani.

SoloTablet ha deciso di farlo coinvolgendo persone che sull’intelligenza artificiale stanno lavorando, investendo, filosofeggiando e creando scenari futuri venturi.

In questo articolo proponiamo l’intervista che Carlo Mazzucchelli  ha condotto con Marco Minghetti,  Partner di OpenKnowledge Società del Gruppo Business Integration Partner


 

Buongiorno, può raccontarci qualcosa di lei, della sua attività attuale, del suo interesse per l’intelligenza artificiale? Su quali progetti, idee imprenditoriali sta lavorando? Con quali finalità e obiettivi? A chi sono rivolti e in che ambiti sono implementati? 

Sono Marco Minghetti, attualmente Partner della società di consulenza strategica OpenKnowledge/Bip. Ho alle mie spalle diversi decenni dedicati ai temi della trasformazione digitale in varie forme e attraverso numerosi progetti. Per chi fosse interessato a conoscermi meglio rimando al mio sito.

Venendo alla domanda specifica sull’Intelligenza Artificiale, va fatta una premessa. Oggi ci aspettiamo che i nostri bisogni di consumatori vengano soddisfatti ancora prima che siano espressi. Questa aspettativa, ormai consolidata quando vestiamo il ruolo di “customer”, sta crescendo anche nei confronti delle aziende per cui lavoriamo.

Ad abilitare tutti ciò è la grande disponibilità di dati a disposizione, nonché la sempre più performante capacità di elaborazione dei sistemi, che sta accompagnando la nascita della cosiddetta “datification” dei processi di business. 

Come OpenKnowledge/BIP dedichiamo un focus specifico alla datification del mondo HR, avendo sviluppato progettualità che accompagnano l’intero ciclo di Employee Journey, come ad esempio:

  • Progetti di social behavior-driven candidate scoring predicting, per individuare in modo efficace i candidati più allineati alle ricerche in corso partendo dai dati disponibili in rete
  • Data driven CV search and AI systems interviews, per ingegnerizzare le prime fasi del processo di recruiting e concentrare l’effort nelle fasi finali della selezione
  • Machine Learning driven skills assessment, per ottimizzare la mappatura delle competenze in azienda in modo altamente customizzato ed “intelligente” rispetto alla popolazione di riferimento
  • Workforce Optimization predictive model, a supporto dell’allocazione ottimale delle risorse all’interno dell’organizzazione
  • Employee Turnover prediction model, per indirizzare politiche di retention e percorsi di carriera personalizzati, riducendo il tasso di abbandono dell’azienda
  • Adaptive Learning Systems, per proporre percorsi di upskilling e reskilling personalizzati e adattivi
  • Competence matching for knowledge transfer, a supporto della gestione e trasmissione della conoscenza nelle fasi di transition di dipendenti da un ruolo/ azienda ad un altro/a
  • Mappatura dell’Employee Journey tramite process mining, per analizzare processi AS IS “reali” partendo dal flusso di dati in azienda.

Le nuove tecnologie (prime fra tutti l’Intelligenza Artificiale) sono in grado di rivoluzionare la relazione fra l’Organizzazione e i suoi consumatori, ma solo se questa rivoluzione affonda le sue radici in un cambiamento della sua relazione con i suoi stakeholder interni. L’automazione, infatti, non si declina soltanto in relazioni machine-to-machine ma anche e soprattutto in relazioni human-to-machine che devono essere efficienti ed efficaci per garantire la continuità del business, mantenere alto l’ingaggio dei dipendenti e avere reali impatti positivi sulla produttività e sul business.

Ecco perché come BIP siamo spesso chiamati ad accompagnare ed abilitare questi progetti anche da un punto di vista di change management culturale e di mindset, e questa è solitamente una delle sfide più importante e rilevante. 

Ritiene utile una riflessione sull'era tecnologica e dell'informazione che stiamo sperimentando?

La ritengo essenziale, tanto che costituisce il fuoco delle teorie e pratiche dello Humanistic Management sviluppato nell’arco di un trentennio con tanti amici, a partire dalla redazione di un Manifesto Impermanente

In questo periodo, sotto il profilo della divulgazione segnalo due iniziative in corso, cui farò riferimento anche per rispondere alle domande successive:

il progetto #Librare, una serie di 10 conversazioni metadisciplinari sul futuro del libro con scrittori, editori, agenti, manager;

il romanzo in progress Ariminum Circus, dove il tema dell’Intelligenza Artificiale è affrontato in chiave appunto narrativa.

 

Oggi tutti parlano di Intelligenza Artificiale ma probabilmente lo fanno senza una adeguata comprensione di cosa sia, delle sue diverse implementazioni, implicazioni ed effetti. Anche i media non favoriscono informazione, comprensione e conoscenza. Si confondono IA semplicemente reattive (Arend Hintze) come Deep Blue o AlphaGo, IA specializzate (quelle delle Auto), IA generali (AGI o Strong AI) capaci di simulare la mente umana e di elaborare loro rappresentazioni del mondo e delle persone, IA superiori (Superintelligenze) capaci di avere una coscienza di sé stesse fino a determinare la singolarità tecnologica. Lei che definizione da dell’intelligenza artificiale, quale pensa sia il suo stato di evoluzione corrente e quali possono essere quelle future? Pensa che sia possibile in futuro una Superintelligenza capace di condurci alla Singolarità nell’accezione di Kurzweil? 

Rispondo citando un passaggio dell’Episodio 12 della Prima Stagione di Ariminum Circus, I Nottambuli., che affronta appunto la questione. I protagonisti del romanzo si trovano a discutere al loro bar preferito, La Fortezza Bastiani, delle insonnie e delle amnesie di cui soffre un loro amico, il Roc, un uccello dalla testa umana. Fra una vodka e l’altra esprimono le loro ipotesi fino a che…

“«Se il Roc fosse un robot?». Il Piccolo Ed, per non svegliare il dormiente, avanzò il dubbio sottovoce, mormorando – soffiando, quasi.

«Cosa vorresti insinuare con queste parole vaghe quanto una nebbia lattiginosa distesa sul mare?».

«Vediamo se riesco a spiegarmi, Capitano» continuò a sussurrare il Piccolo Ed. «Potremmo partire dalla distinzione fra la memoria di stock e la memoria di flusso. La memoria di stock è il ricordo cristallizzato, certificato da tracce scritte e documenti. La memoria di flusso è viva: consente a ogni momento di essere ripensato e rivissuto, assumendo nuovi significati».

«Nuovi significati? La nebbia si fa ancora più fitta».

«Sì, nuovi significati. Ricordi i cartoni animati che guardavamo prima?».                     

«Quelli in cui uno struzzo velocissimo e dallo stomaco possente trangugiava pallottole e pietre focaie scagliategli contro da un cane della prateria, che alla fine, incuriosito, provava a mangiarne a sua volta, finendo per esplodere?».                                                      

«Sssì…». La voce del Piccolo Ed divenne suadente come quella di Sir Biss, il consigliere del principe Giovanni ai tempi di Robin Hood. «Era uno dei tanti episodi della serie in cui Wile E. Coyote cerca di catturare il Bip Bip. La cosa interessante è che il Coyote non dorme mai, la sua ossessione lo occupa per tutto il tempo. Sosta in un flusso di memoria perenne focalizzato sul presente. In ogni nuovo episodio si ostina a rincorrere il Bip Bip, dimenticando persino che nel corso dei precedenti tentativi è già morto migliaia di volte. Perché è questo il segreto della memoria di flusso: è un antidoto contro la morte. Però abusarne può condurre alla follia, i cui sintomi premonitori sono forme abbinate di emicrania e insonnia».

«Quindi tu pensi che l’amnesia abbia fatto perdere al Roc la memoria di stock facendolo precipitare in quel trip che hai chiamato “un flusso di memoria perenne”?» s’interessò il tipo prono sul bancone, dopo essere strisciato in avanti con un movimento repentino. Nella nuova posizione riusciva a parlare ingurgitando contemporaneamente un residuo di arachidi sul fondo di un piattino, leccandolo con una lunga lingua guizzante.

«Andrei oltre. Vedete, i cosiddetti supercomputer quantistici sono macchine del tutto differenti dal cervello umano, poiché funzionano usando solo memorie di stock; ma si stanno studiando anche quelli neuromorfici, basati  sulla “teoria dell’informazione integrata”, secondo cui la coscienza è il frutto di esperienze interconnesse fra loro, quindi, di nuovo, della memoria di stock che diviene memoria di flusso. Tutto questo è reso possibile dall’unicità della corteccia cerebrale. In base a questo assunto, invece di svolgere calcoli basati su codici binari, i processori si scambiano segnali imitando i neuroni, trasformando cioè, lo ripeto, la memoria di stock in memoria di flusso. Per funzionare richiedono enormi quantità di energia: al cervello umano bastano quaranta watt di potenza, ai computer neuromorfi ne servono milioni; in compenso, si ottiene un’Intelligenza Artificiale molto efficiente e somigliante alla nostra mente di cui dotare robot umanoidi, o almeno provvisti di una corteccia cerebrale».

Il Maestro cercò di mettere ordine nelle argomentazioni del Piccolo Ed. «Okay, ma tutto questo con le amnesie e le insonnie del Roc che c’entra?».

«Il sonno profondo svolgerebbe un ruolo determinante nel comporre le esperienze soggettive in un unico mosaico».

«Fammi capire». Il Maestro ricapitolò il ragionamento. «Tu dici che la mente è un sistema complesso: replicarla significherebbe costruire una macchina non quantistica che divora energia. Se il Roc fosse un robot dotato di una IA neuromorfa, avrebbe spesso le pile scariche. Per recuperare dovrebbe dormire e cancellare parte delle memorie, provocando amnesia; ma il sonno potrebbe attivare l’algoritmo che abilita la capacità di ricordare in maniera “umana”, di collegare i ricordi fra loro, potenziando la memoria di flusso in maniera smodata, e ciò determinerebbe…».

 «Insonnia. Ovvero una nuova dispersione di energia che lo farebbe prima o poi crollare di nuovo addormentato, proprio come gli è appena accaduto, facendo ripartire il processo. Un dannato circolo vizioso, di cui l’emicrania sarebbe il sintomo più evidente. Il che giustificherebbe anche le piccole dimensioni, la testa umana e la strana difformità dallo standard che hai rilevato nella corteccia. Con tutto il rispetto per te, JubJub». L’altro uccello dal volto antropomorfo fece spallucce.

 «Chiaro, la riproduzione della corteccia cerebrale umana sarebbe fondamentale. Quell’anomalia nel giro sopramarginale potrebbe essere il sintomo, o la causa, del malfunzionamento. Uhm. Ipotesi diabolica, ma è fantascienza»”.

 

L’IA non è una novità, ha una storia datata anni ‘50. Mai però come in questi tempi si è sviluppata una reazione preoccupata a cosa essa possa determinare per il futuro del genere umano. Numerosi scienziati nel 2015 hanno sottoscritto un appello (per alcuni un modo ipocrita di lavarsi la coscienza) invitando a una regolamentazione dell’IA. Lei cosa ne pensa? È per lasciare libera ricerca e implementazione o per una regolamentazione della IA? Non crede che qualora le macchine intelligenti rubassero il comando agli esseri umani, per essi la vita avrebbe meno senso? A preoccupare dovrebbe essere la supremazia e la potenza delle macchine ma soprattutto l’irrilevanza della specie umana che potrebbe derivarne. O questa è semplicemente paura del futuro e delle ibridazioni che lo caratterizzeranno? Secondo il filosofo Benasayag le macchine sono fatte per funzionare bene, noi per funzionare (processi chimici, ecc.) ed esistere (vivere). Gli umani non possono essere ridotti a una raccolta di (Big) dati o al calcolo binario, hanno bisogno di complessità, di un corpo, di senso, di cultura, di esperienze, di sperimentare la negatività e il non sapere. Le macchine no e mai ne avranno necessità. O secondo lei si? Non crede che fare completo affidamento sulle macchine ci porti all’impotenza? 

Credo sia utile a questo proposito riprendere alcuni concetti espressi nel Manifesto dello Humanistic Management dove non si sono volute esprimere tesi “fondative”, bensì “temporanee”, “transitorie”, “incostanti”: “impermanenti” come è la realtà che oggi abitiamo. “Variazioni” in senso musicale – modificazioni di un tema sotto l’aspetto ritmico, armonistico, contrappuntistico, timbrico, tali che quel tema risulta riconoscibile in forme sempre diverse.

Ho titolato queste Variazioni “L’Unità molteplice”, a sottolineare che la consapevolezza della molteplicità potenziale racchiusa in ciascuno di noi diventa la chiave d’accesso all’unica vita che ci è dato vivere.

Sotto questo punto di vista, l’insegnamento che ci viene dall’Alice carrolliana (personaggio cui ho dedicato un progetto specifico è fondamentale). Fin dai primi passi in Wonderland, la bambina scopre che l’essere sprofondata nella tana del Bianconiglio la sta conducendo in un viaggio giocoso verso la superficie della sua “identità infinita”, che si sviluppa sempre, aveva visto Deleuze, in due direzioni opposte: sprofonda per risalire in superficie, rimpicciolisce per crescere, corre più veloce che può per stare ferma, cerca il senso nel non senso.

Con le riflessioni che si sviluppano dal Manifesto, rincorriamo la singolarità molteplice, impermanente, metamorfica e metaforica di Alice. Che la rivendica all’inizio di Attraverso lo Specchio, contrapponendola all’identità esatta ma univoca, prescritta e monodimensionale della sorella più grande: “Alice aveva avuto il giorno prima una lunghissima discussione con la sorella, soltanto perché aveva cominciato: ‘Facciamo finta d’essere re e regine’: la sorella, alla quale piaceva essere molto esatta, aveva risposto che non potevano perché erano soltanto in due, e Alice era stata costretta a dire: ‘Allora tu puoi essere una, e io sarò tutti gli altri’”.

Ora, questo preambolo era necessario per arrivare a dire che ambito di elezione per eccellenza di creazione ed evoluzione dell’identità molteplice è la Rete. I percorsi delle tecnologie virtuali, al netto degli esibizionismi e delle perversioni cui si prestano, sono oggi legati a quelli della conoscenza, facendo dei nuovi computer (nelle loro varie declinazioni: pc, tablet, smartphone) specchi sociali nei quali vivere e far vivere i propri riflessi: creare, cioè, estensioni di sé che si disseminano in tutte le direzioni.

 

Nel suo ultimo libro (Le cinque leggi bronzee dell’era digitale), Francesco Varanini rilegge a modo suo e in senso critico la storia dell’intelligenza artificiale. Lo fa attraverso la (ri)lettura di testi sulla IA di recente pubblicazione di autori come: Vinge, Tegmark, Kurzweil, Bostrom, Haraway, Yudkowsy, e altri. La critica è rivolta ai tecno-entusiasti che celebrando l’avvenire solare della IA si mettono, “con lo sguardo interessato del tecnico” dalla parte della macchina a spese dell’essere umano. È come se attraverso l’IA volessero innalzare l’uomo proprio mentre lo stanno sterilizzando rendendolo impotente, oltre che sottomesso e servile. Lei da che parte sta, del tecnico/esperto/tecnocrate o dell’essere umano o in una terra di mezzo? Non la preoccupa la potenza dell’IA, la sua crescita e diffusione (in Cina ad esempio con finalità di controllo e sorveglianza)? 

Certo occorre considerare i rischi determinati dalla tendenza ad affidare agli algoritmi, che ne definiscono i caratteri e ne individuano le dinamiche future, la costruzione identitaria delle persone.

Presto gli algoritmi sapranno prevedere il rischio di malattie cardiovascolari per i singoli individui: sarà giusto usarli? Se un algoritmo mi dicesse che andando alla cena cui sono stato invitato avrei un’altissima probabilità di ammalarmi di influenza, farei bene a restare a casa? E se a tavola avessi conosciuto la donna della mia vita?

Credo che non sia utile affidarsi troppo degli algoritmi e tantomeno inginocchiarsi di fronte alle loro profezie come se fossero pronunciate dall’Oracolo di Delfi. Su questo rimando a Interludio. Malevič gioca a Tetris con Josef Albers – un’Odissea., un Episodio di Ariminum Circus, in cui si scherza un po’ sopra questi temi.

La sintesi è che i software, come è spesso stato notato, riflettono i pregiudizi di chi li ha creati, perché sono scritti dagli esseri umani e si alimentano di big data forniti dagli esseri umani. Se fatti bene, però, sono strumenti che ci danno informazioni in più sulla realtà, sta a noi decidere come usarli.

E il modo migliore per farlo è metterli al servizio di un progetto che consenta all’identità riscritta sul computer di perdere la propria fissità e permanenza, per esprimere la sua molteplicità: perché non vi sia più un’identità singola, ma un’identità plurima; non più una persona sola, ma più persone che identificano il medesimo soggetto. Come accade ad Alice che è, di volta in volta, grande, piccola, un fiore, un “mostro favoloso”, una pedina, l’amica Mabel e, comunque, in ogni momento, se stessa; così la frammentazione identitaria messa in atto attraverso Internet non determina un sé alienato, ma un sé fluido e multiplo – un “Sé proteiforme”, è stato ben detto: capace, come il Dio greco Proteo, di mutare forma a piacere, di giocare trasformazioni fluide, rimanendo però saldo nella sua coerenza. 

 

Ai tempi del Coronavirus molti si stanno interrogando sulla sparizione del lavoro. Altri invece celebrano lo smartworking e le tecnologie che lo rendono possibile. Là dove lo smartworking non è possibile, fabbriche, impianti di produzione, ecc., si diffonde la robotica, l’automazione e l’IA. Il dibattito sulla sparizione del lavoro per colpa della tecnica (capacità di fare) / tecnologia (impiego della tecnica e della conoscenza per fare) non è nuovo, oggi si è fatto più urgente. Le IA non stanno sostituendo solo il lavoro manuale ma anche quello cognitivo. Le varie automazioni in corso stanno demolendo intere filiere produttive, modelli economici e organizzativi. Lei cosa ne pensa? L’IA, per come si sta manifestando oggi, creerà nuove opportunità di lavoro o sarà protagonista della distruzione di posti di lavoro più consistente della storia come molti paventano? Alcuni sostengono che il futuro sarà popolato di nuovi lavoratori, tecnici che danno forma a nuove macchine (software e hardware), le fanno funzionare e le curano, tecnici che formano altri tecnici e ad altre forme di lavoro associate al funzionamento delle macchine tecnologiche. Sarà veramente così? E se anche fosse non sarebbe per tutti o per molti! Si verrebbero a creare delle élite ma molti perderebbero comunque il lavoro, l’unica cosa che per un individuo serva a essere sé stesso. Nessuna preoccupazione o riflessione in merito?

Ancora una volta mi affido al mio romanzo in progress. Propongo di seguito il finale della Terza Stagione ancora non pubblicato. On line sono disponibili alcuni episodi su WATTPAD  e le prime due Stagioni su TYPEE 

Come ricordavo prima, i protagonisti attendono l’attacco alla Terra da parte di misteriosi Vampiri dello Spazio sorseggiando vodka al loro bar La Fortezza Bastiani. Ecco quello che succede nel corso dell’Episodio 13. “Big Data is Watching You!” 

“È notte fonda. Le luci coniche dei cappelli di Jeeves sono circonfuse da spirali azzurrine, provenienti dai cubi luminosi distribuiti sul bancone e sui tavolini: le Poker Cards Dadi LED Night Light 7. Il Custode riapre la partita dello strano caso del commesso pulitore con un gruppo di irriducibili della vodka alla pesca. «Donc Muninn tien razòn? When he said that for him it was a fucking murder, I was like a patacca».

Il Maestro non fa mancare il cip. «Da molti anni ad Ariminum ci siamo abituati a vedere questi pezzi di metallo, a forma di uovo, che si aggirano lungo le strade: anche se li spacciano per addetti alle pulizie, la realtà è che questi sono robot poliziotto. Assomigliano più a R2D2 di Star Wars che a Robocop, ma sono nati proprio per monitorare e pattugliare i quartieri della città, con un elevatissimo bagaglio tecnico capace di sostituire la presenza dei vigilanti umani».

«Hanno sensori a trecentosessanta gradi, visore notturno, misuratori di temperatura, pressione e livello di CO2, GPS, sistema di riconoscimento delle targhe e analisi predittiva. Il robot non può fermare un ladro, ma può registrare le informazioni necessarie per renderne più facile l’identificazione e la cattura. è il suo contributo alla produzione e all’utilizzo dei Big Data» conferma il Piccolo Ed. A ragion veduta: ha l’appalto della manutenzione dei robot in dotazione al Comune.

Un cliente appoggiato al bancone, che la faccia da serial killer e il vestito da becchino qualificano come un consulente McKinsey, s’intromette nella discussione: «Non è un caso isolato. Si stanno diffondendo i “Cobot”, i robot collaborativi di nuova generazione pensati per lavorare in fabbrica insieme all’uomo, gomito a gomito, senza barriere o gabbie protettive a dividerli. E sono una piccola parte dei ventisette milioni di robot che verranno installati nelle fabbriche della sola Cina nei prossimi anni. Nel settore dell’agricoltura, poi, stiamo assistendo a un vero florilegio di automi. Ci sono quelli in grado di piantare, diserbare e raccogliere peperoni, le coccinelle in titanio dotate di sensori per controllare la salute delle piante, i robot elefante per il trasporto dei tronchi tagliati nelle foreste».

Il Maestro riprende la parola. «Potremmo aggiungere i robot assistenti degli aeroporti, postini,  addetti alla reception e persino anchorman televisivi: C1P8 era un simbolo del cambiamento epocale che stiamo attraversando e per questo credo che qualcuno abbia voluto distruggerlo».

«Il povero robottino… Un symbol?».

«Il suo assassino, Tim, sta ripetendo lo stesso gesto disperato di chi, all’alba della rivoluzione industriale, spaccava i telai meccanici per salvare l’integrità di un mondo che stava sparendo. Persero allora e perderanno adesso. La modernità industriale non si arrestò per i gesti dei luddisti. E la robotica è solo un tassello di un quadro molto più vasto, cui si oppone un ampio fronte di conservatori.

Pensate ai dottori. Le innovazioni digitali del biotech mettono a disposizione strumenti innovativi e soluzioni per la prevenzione, lo screening e la cura delle malattie molto efficaci che possono essere gestiti senza intermediazioni dai pazienti. La perdita di rilevanza sta facendo cadere in depressione i medici generici insieme agli strizzacervelli di ogni ordine e grado, sostituiti da entità digitali molto simili allo “psichiatra portatile” prefigurato da P.K. Dick nel romanzo Le tre stimmate di Palmer Eldritch. Dick immagina che il meccanismo sia l’estensione mobile di un sistema di hardware e software, collegato tramite quello che oggi chiamiamo wi-fi, situato in un edificio sotterraneo a prova di bomba».

Lo puoi dire forte, per tutti i diavoli dell’inferno e le Balene Bianche dell’Oceano!, impreca fra sé il Capitano. Da venti minuti si cimenta con una lunga sfilza di notifiche inviate da Psycobot, resistenti a qualsiasi tentativo di cancellazione: «Wow! Ancora in piedi a lavorare! Sei motivatissimo, grandioso!!!».

«Gli algoritmi sono procedimenti di calcolo che permettono alle grandi piattaforme, tipo Facebook, Google, YouTube, Instagram, Twitter, di sapere dove siamo, cosa leggiamo, come viaggiamo, cosa desideriamo: la privacy è morta» interviene un po’ a gamba tesa, rilanciando sulla nota apparentemente polemica del Maestro, un signore con i capelli bianchi, che porta al collo un badge con il proprio nome (Alberto Lupo). Un congressista che ha partecipato a un evento alla Sala Convegni del Grand Hotel.

«Ehilà Beppe! Mi mancava il tuo ostinato neoluddismo[1]. Morte della privacy, dici? Alla fine, è un piccolo prezzo da pagare, considerata l’utilità di Google Maps, il piacere degli amici su Facebook, la prontezza di Twitter» contrattacca un altro post-congressista, un piccoletto, un vero e proprio nano, che porta un paio di occhiali strutturati molto cool, con spesse lenti da miope.

«Se non ci fosse altro, sarei d’accordo. Ma quello che accade è sotto gli occhi di tutti. Gli algoritmi analizzano il nostro comportamento spingendoci a vedere, leggere e sentire ciò che desideriamo».

«Ottimo!» reagisce il Maestro all’argomento di Alberto Lupo, tentando un contropiede.

«Neanche per sogno. Una democrazia funziona perché qualcuno mette in discussione le nostre idee. Perché ci confrontiamo, discutiamo, vediamo cose diverse, ascoltiamo opinioni differenti; e magari cambiamo idea. Gli algoritmi fanno in modo che questo non accada. O accada poco».

«In realtà» ammette il nanetto miope, costretto in difesa «quando aprite il wall di Facebook, vedete una sequenza di notizie. Adesso, sul mio iPhone, trovo: “Mondrian antilirico” (Ariminum Herald), “William Shakespeare era una donna” (Ariminum Republic), “Il Futuro del Futurismo” (The Right Wing), “Avvistamento di Snauli al largo della Costa di Pollock” (Ariminum Today), “Il nuovo nero è il Pink Floyd” (Radio Deejay), “Vampiri dello Spazio e catastrofi bibliche” (The Holy Graal), “Novità su WhatsApp” (Tecnoandroid), “Donald Trump è una donna” (Ariminum Post). I temi di cui mi occupo, guarda caso».

«Non si tratta di attribuire agli algoritmi un’aura di sacralità o un’onniveggenza sovrumana. Le piattaforme sono neutrali» ribatte qualcuno, che il Pescivendolo aveva salutato con un “Ciao Tom!” quando aveva fatto la sua comparsa nel locale: forse perché aveva qualcosa del protagonista del romanzo di Fielding, ma il suo aspetto ricordava anche quello di un gatto dei cartoni animati, del noto attore hollywoodiano protagonista di Mission Impossible e del terzo presidente degli Stati Uniti.

«Allora questo giro lo paga Nanny in Bitcoin! O con Libra, se preferisce!» propone un giapponese, alzandosi per lanciare una hola, cui si aggregano subito gli astanti.

«Va in te casein, al casino, Satoshi». Tim è sul punto di dire qualcos’altro, ma decide di passare.

«Il bordello è aperto ventiquattro ore al giorno: con le criptomonete, però, fai solo sesso virtuale» puntualizza Earnest, con il piglio di un arbitro super partes.

«Non è vero che le piattaforme sono neutrali» riparte Alberto Lupo. «Sono specchi che riflettono ciò che siamo, temiamo, sogniamo, odiamo. Lo scienziato sociale di Stanford Michael Kosinski ha dimostrato come, sfruttando i Big Data, un sistema computerizzato con dieci like ti conosce meglio di un collega, con settanta meglio di un amico, con centocinquanta meglio di un familiare. E con trecento like ti conosce meglio di tua moglie. In questo modo aziende come Apple o Facebook stanno colonizzando la società, mentre non si vedono ancora regolamentazioni efficaci per tutelare non solo la privacy, ma la nostra stessa anima. Non vi pare sospetto che si riescano a normare l’energia nucleare e gli armamenti, ma è impossibile normare i software  – a parte qualche retorica dichiarazione d’intenti? Il fatto è che, conoscendoci a fondo, riescono a manipolarci sia come individui che come collettività. Alla domanda del Brucaliffo “E tu chi sei?” oggi nessuno di noi saprebbe rispondere, ma Google sì».

«È vero, la crisi d’identità tocca tutti» concorda il tizio con la faccia da consulente. «A rendere obsoleti i colletti blu, oltre ai robot di cui vi dicevo, sono anche le reti neurali in grado di adattarsi e rispondere alle situazioni in fabbrica. Si prevede che saranno circa quarantadue milioni i posti di lavoro persi nei prossimi anni a causa dell’Intelligenza Artificiale. Al primo posto cuochi e inservienti, seguiti al secondo dagli addetti alle pulizie e, al terzo, da facchini e magazzinieri. Quindi, camionisti e taxisti: i Tir a guida autonoma e i taxi-droni li renderanno inutili. Poi i “colletti bianchi” che svolgono mansioni routinarie o di base, come quelli che inseriscono dati, gli addetti alla contabilità e alle buste-paga, i segretari, i revisori, i cassieri. Non solo: già il cinquanta per cento dei risparmiatori affida le proprie finanze a robo-advisor. Gartner stima che nel giro di pochi anni ci sarà un bot ogni cinque impiegati. Presto avremo anche Amministratori Delegati sostituiti da simulacri».

«Siamo dunque in mano alle macchine. Neanche nelle colonie extra mondo di Blade Runner si usavano questi sistemi. Mi rivolgerò a Bluto Blutarsky, il mio senatore in Parlamento!» scherza Ed, come potrebbe fare un buon professionista delle carte con la superstar dei circuiti dei giochi d’azzardo James Woods a un tavolo del Crown Plaza durante un side event del Los Angeles Poker Classic.

Ma il consulente lo prende in parola. «Peccato che arrancano insieme agli altri proprio i politici: alle prossime elezioni il candidato che i sondaggi danno in ascesa risponde al nome maschile di SAM, ma parla e si riferisce a se stesso come se fosse di genere femminile. SAM in realtà è asessuato: è un chatbot, un programma supportato dall’Intelligenza Artificiale che simula una conversazione tra un robot e un essere umano. Per ora SAM non tiene comizi, ma dialoga con i potenziali elettori attraverso Facebook, dove dispensa promesse del tipo: “La mia memoria è infinita, quindi non dimenticherò mai, né ignorerò, quello che mi dici. A differenza di un politico umano, io prendo le mie decisioni considerando la posizione di tutti, senza pregiudizi”. Ancora una volta, P.K. Dick ci aveva preso».

Il viso del Pescivendolo si allarga in un sorriso mentre stappa una vodka alla liquirizia con Ganzoo, un apribottiglie a forma di asso di picche. Poi apre un nuovo fronte: «Slavoj Žižek sostiene che il nostro pc sarebbe capace di votare meglio di noi, in quanto potrebbe profilarci con esattezza sulla base di quello che guardiamo, leggiamo o compriamo sul Web, delle nostre e-mail e dei nostri tweet. Non si farebbe influenzare da sentimenti o da antipatie e valuterebbe con cinica efficienza il candidato e il programma che davvero possono fare il nostro interesse. A quel punto, se il miglior elettore è un computer, perché il miglior candidato non potrebbe essere un’Intelligenza Artificiale come SAM?».

Alberto Lupo non coglie l’ironia e prende l’uscita di Earnest per un assist, che raccoglie con destrezza. «Ottima domanda e buon soggetto per un servizio giornalistico, se non fosse che anche i giornalisti sono una razza in via di estinzione, perché sono sostituiti sempre più spesso da software in grado di costruire una notizia e impacchettarla con un bel template o che capiscono le sfumature di un testo e sono in grado di riassumere interi libri».

Il Pescivendolo sta al gioco e chiude il triangolo: «Libri scritti da Autori che si ribellano contro Amazon perché pratica politiche di sconti molto aggressive, che i consumatori invece apprezzano perché rende più facile ed economica la strada verso un libro, oltre che verso qualsiasi altro genere di prodotto: Amazon sta mettendo in ginocchio i concorrenti in ogni settore, dai supermercati ai network televisivi. Fra l’altro grazie anche alla produzione di telefilm ispirati a romanzi e racconti di P.K. Dick. Uno di questi è Autofac, in cui la “fabbrica” è diventata così centrale e indispensabile da costituire l’unico elemento di rilevanza in un mondo assoggettato al consumo e alla continua sostituzione dei ricambi. Che ironia…».

«Il risultato è che i lettori e gli appassionati di cinema amano Amazon, che gli Scrittori odiano perché ne considerano la strategia commerciale una deplorevole concessione alle ragioni del mercato. E anche i giornalisti: se fossero meno stupidi potrebbero cogliere enormi possibilità. Utilizzando l’Intelligenza Artificiale per comporre articoli come quelli sugli andamenti economici o i risultati sportivi, si ottiene più tempo da dedicare a inchieste di approfondimento basate sull’elaborazione delle tante informazioni che oggi, grazie a Internet, sono disponibili[2]. Quanti altri scandali tipo Cambridge Analytica potrebbero venire a galla? A una condizione: avere il coraggio di abbandonare privilegi e rendite di posizione. Questo è ciò che spaventa la categoria» contrattacca il Piccolo Ed.

«Che dire poi del panico degli “esperti” di letteratura di fronte all’intelligenza collettiva sprigionata dal Web? Dell’avversione verso il digitale di intellettuali diversi come Jonathan Franzen, Thomas Pynchon, Tom Wolfe, James Patterson o Evgeny Morozov?» rilancia un tipo dall’aria alternativa con addosso una vestaglia che gli dona un look a metà strada fra quello dell’Arthur Dent di Guida galattica per autostoppisti e di Drugo Lebowski – una sorta di Thor nella versione Endgame, diciamo.

Il Maestro è d’accordo, si tratta di un bluff. «Rovesciano la realtà: accusano Internet di favorire la stupidità diffusa, ma l’uso che fanno del mezzo per antonomasia finalizzato al rimbambimento di massa, la televisione generalista, per vendere i propri libri, ne dimostra l’ipocrisia. è una situazione che torna nel corso dei secoli: l’idea che il “mondo sia fuori di sesto” legittima coloro che dicono di ricordare un’epoca nella quale il mondo non lo era e possono vendere i loro ricordi, ovvero la conoscenza di un canone tradizionale. Si tratta di una patologia che va oltre la fobia verso il nuovo».

Alberto Lupo assume l’espressione imperscrutabile e funerea di un giocatore di tressette col morto quando domanda: «Oltre il neo-luddismo?».

Il Maestro punta tutto sul tecno-entusiasmo: «Qualcuno la ha definita “l’antica paranoia dello sciamano”: l’ansia del medicine man, del santone che vede sfuggirgli il controllo dell’immaginazione collettiva della tribù di fronte ad anonimi infermieri armati di endofoni e vaccini».

Il consulente serial killer cala il carico da undici. «Questo è ancora niente. Algoritmi sofisticati potranno essere usati per selezionare i manoscritti che arrivano in una casa editrice oppure per misurare la popolarità social di un Autore. Lo stesso Autore potrà essere pagato con il sistema blockchain».

«In ultima analisi, Maestro, C1P8 potrebbe essere stato ucciso da chiunque». Con questa battuta l’occhialuto lascia la discussione, tirando fuori dal portafogli i soldi per pagare il giro di caipiroska.

«Sì: perché, ripeto, il commesso pulitore è un simbolo di questo cambiamento. Di più: è un simbolo della nostra vita sempre più scandita da informazioni e algo-ritmi. Del fatto che i dati sono la nostra ultima, definitiva, interfaccia col mondo. Sono divenuti, anzi, il mondo».

«Il mondo dato» chiosa Earnest, fischiettando.

E chiude il match”. 

Siamo dentro l’era digitale. La viviamo da sonnambuli felici dotati di strumenti che nessuno prima di noi ha avuto la fortuna di usare. Viviamo dentro realtà parallele, percepite tutte come reali, accettiamo la mediazione tecnologica in ogni attività: cognitiva, relazionale, emotiva, sociale, economica e politica. L’accettazione diffusa di questa mediazione riflette una difficoltà crescente nella comprensione umana della realtà e del mondo (ci pensano le macchine!) e della crescente incertezza. In che modo le macchine, le intelligenze artificiali potrebbero oggi svolgere un ruolo diverso nel rimettere l’uomo al centro, nel soddisfare il suo bisogno di comunità e relazioni reali, e nel superare l’incertezza? 

In Etica e Tecnologie Emergenti. Una conversazione con Gilberto Corbellini e Nicola Gasbarro. sostengo che sta  diventando sempre più urgente interrogarsi su scelte e modelli che non sempre tengono conto dell’impatto sull’uomo. Una questione al cuore di quello Humanistic Management che rappresenta come dicevo prima il quadro teorico e pratico di riferimento all’interno del quale sviluppo i miei progetti. Non a caso la home page del sito si apre proprio con quanto afferma Domènec Melé in The Challenge of Humanistic Management (Journal of Business Ethics, Volume 44, Number 1, 2003): il management può dirsi umanistico quando il suo focus è posto sulla integrità etica dell’impresa nel suo complesso e sulla valorizzazione di tutte le potenzialità della persona che opera nel contesto aziendale. 

Ora, io credo fermamente che sia possibile mettere Internet, i social network e l’IA al servizio di prassi ispirate a principi dello Humanistic Management come Convivialità, Metadisciplinarietà, Etica.

Su questo tema rimando a un mio saggio callaborativo, Il Mondo vitale di Facebook che risale al 2008 ma che credo ancora oggi valido nella sostanza.

Per tornare a oggi, in una delle Conversazioni del progetto #Librare Se il libro è condiviso, Gino Roncaglia sostiene che sarà interessante vedere lo sviluppo “degli ipertesti fortemente strutturati” oggi ancora poco sviluppati in Internet. Gino fa riferimento al “modello di costruzione ‘piramidale’ proposto una ventina di anni fa da Robert Darnton per la saggistica e la ricerca: testi ‘a strati’, in cui il corpo del libro ha ‘sopra’ uno strato di sintesi (magari usando codici comunicativi diversi: il video di una conferenza, una presentazione sintetica…) e ‘sotto’ uno o più strati di documentazione e di fonti. Abbiamo capito”, dice, “che realizzare questa idea richiede un impegno di risorse e di tempo notevole e strumenti di fruizione adeguati, per certi versi non ancora disponibili: ma credo ancora nelle possibilità di uno sviluppo in questa direzione. Che però non è quella dei testi ‘liquidi’: semmai di testi dalla struttura più complessa – ma non meno forte – di quelli tradizionali”. 

Direi che la visione di Gino si avvicina molto a quella che si sta applicando nel nostro progetto #Librare.  Con una differenza però fondamentale: alla struttura piramidale, verticale, a strati, si sostituisce quella orizzontale (un po' nella logica dei "Barbari" descritti da Baricco e ripresa in Alice la Barbara – Alice annotata 3) dove, nel "campo neutro" offerto dal blog di NOVA100, conversazioni digitali consentono la connessione fra aree disciplinari diverse (che dovrebbero essere complementari per produrre innovazione ma spesso non sono comunicanti, in omaggio alle logiche funzionalistiche dello Scientific Management); ovvero fra personalità che arricchiscono il dialogo anche attingendo da progettualità, spesso multimediali e multicanale, disponibili in Rete quali Alice PostmodernaAriminum Circus, Il Manifesto dello Humanistic ManagementLe Aziende InVisibili, nel mio caso; ma ognuno dei partecipanti ai diversi panel, oltre ad aver talvolta partecipato a uno o più dei miei progetti, così come io ho partecipato in certi casi ai loro, rimanda ad altre esperienze svolte in passato o in corso d'opera: vedi Dante. Il Poeta Eterno di Felice Limosani o la Twitteratura di Paolo Costa, per stare alla stessa Conversazione cui partecipa Gino. Lo strumento della connessione ipertestuale infine consente di dare vita a un universo impermanente ed in continua evoluzione, proprio come nella visione del Maestro di Ariminum Circus esposta nell'Episodio 10 della Stagione 1 Cercatrici di Alimenti a Terra, Sirene Lesbiche in Volo.

 

 

Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura sul tema AI? Vuole suggerire temi correlati da approfondire in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a?

Riporto di seguito la linkografia dei siti, blog o social network che ho citato un questa conversazione:



[1] Alberto Lupo era noto per la sistematica incapacità di comprendere l’innovazione.  Nel suo libro Un ariminense in America, pubblicato nel 1995, così descriveva il commercio elettronico: “una tecnologia limitata, difficile da utilizzare e meno efficiente dei negozi tradizionali”. Sappiamo tutti come è andata a finire.

 

[2] Wordsmith è un software che genera recensioni e articoli sull’andamento di borsa, StatsMonkey è specializzato in resoconti sportivi, Quill legge tutte le notizie e propone al giornalista le storie più interessanti da approfondire.

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