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Pandemia e infodemia, quale la più pericolosa?

Pandemia e infodemia, quale la più pericolosa?

25 Novembre 2020 Redazione SoloTablet
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Il coronavirus, all'origine del contagio, diventato epidemia e poi pandemia è all'origine della sofferenza di milioni di persone, alle prese con un elemento infinitamente piccolo dal potere infinitamente grande, sulla vita reale di tutti.

Più della pandemia sembra creare sofferenza e malattie psichiche, forse follia, un fenomeno ancor più pericoloso perchè fatto di un surplus di informazioni che creano disinformazione e misinformazione.

Con effetti imprevedibili, non facilmente arginabili e gestibili. Il fenomeno non è riscontrabile solo online e sulle piattaforme digitali ma nella vita quotidiana fatuale e rale. Una vita nella quale un numero crescente di persone si comporta in modo sempre più irrazionale, con reazioni, comportamenti, modi di pensare e certezze spesso costruite su false verità, verità inventate, teorie complottiste, teorie alternative, praticamente sul nulla.

Un nulla fonte di malessere e follia.

In un articolo/intervista con Annamaria Testa, pubblicato su Huffingtonpost di sabato 21 novembre, da esperta della comunicazione e intellettuale qual'è, l'intervistata richiama l'attenzione al pericolo infodemia. Un pericolo associabile sia alla narrazione della pandemia sia alle molteplici iniziative messe in campo per combattere, con l'informazione, la situazione che il contagio ha determinato (🌗🌘🌑🌒 Ma di cosa parliamo?). 

Come ha scritto anche Bernard-Henri Levy, "ciò che ha raggelato di più non è stata la pandemia [...] ma il modo molto strano con cui abbiamo reagito [...]“. A fare la differenza, nell'era digitale caratterizzata dal surplus informativo e cognitivo, è stato il come abbiamo raccontato l'epidemia che ha bloccato il mondo interconnesso e mobile che sembrava impossibile da fermare.

Più che di viralità del virus, dimostrata nei fatti dalla carica pandemica del coronavirus, abbiamo tutti dovuto fare i conti con un'altra viralità, quella delle narrazioni dei media, dello storytelling sulle piattaforme social, quella dei discorsi e delle interviste degli epidemiologi.

Ne è derivata una diffusa paura determinata da una altrettanto diffusa cecità e paranoia, tipica di chi, cieco prima non lo era e poi improvvisamente lo è diventato.

 

A peggiorare il tutto sono state anche le molteplici campagne pubblicitarie contro la pandemia che hanno diviso le opinioni delle moltitudini che frequentano le piattaforme online, sia per la validità o meno delle campagne stesse, sia per i loro contenuti. Molte di queste campagne, pubbliche e private, hanno contribuito, come effetti collaterali, alla moltiplicazione della disinformazione e ad alimentare la misinformazione.

Ne è derivata una epidemia più pericolosa, una infodemia, fatta di informazioni, notizie, narrazioni, teorie, molte delle quali false, pensate per alimentare paure e timori, idee complottiste e verità alternative. Nell'infodemia vanno integrate le molte parole usate ma anche gli atti, i palinsesti televisivi, il ruolo svolto dalla categoria dei giornalisti nostrani (come si fa a reggere ogni sera per giorni e giorni notiziari e talk show sempre uguali? Perchè lo fanno?).

Infodemia più pericolosa della epidemia da coronavirus.

 

E' stata alimentata dalla narrazione di mille protagonisti dei talk show, spesso manipolati da media interessati a trasformarli in guru e/o Cassandre e in Oracoli di Delfi vaticinanti, da intellettuali 'collassologi' (BHL), da influencer piò o meno influenzati e da tanti abitanti delle piattaforme social alla ricerca di visibilità o anche soltanto di una finestra di opportunità per sproloquiare, dire la propria, diffondere gossip e fake news, ma in realtà condannandosi alla servitù volontaria e ad essere coautori e coattori della infodemia dilagante.

L'infodemia ha avuto strada facile anche per la sparizione in questi anni di ogni spirito etico.

Nella pandemia non esistono buoni o cattivi, partiti e plitici da elogiare o altri da disprezzare. In realtà siamo tutti coinvolti, tutti dovremmo fare la nostra parte, anche quando agiamo come destinatari di messaggi, opinioni e narrazioni in Rete e offline. Anche per la Testa "tutti noi possiamo dare il nostro contributo a limitarlo, per esempio controllando bene quello che condividiamo in rete". Poi ovviamente c'è chi ha maggiori responsabilità: "Sì, siamo tutti coinvolti. È però vero che chi governa ha responsabilità maggiori, anche in termini di comunicazione. E comunicano sia le parole, sia gli atti, sia le decisioni prese, sia i dati che vengono diffusi, sia le regole che vengono stabilite. Qui il grande imperativo è quello della trasparenza, della chiarezza, della coerenza. Non dimentichiamo che la comunicazione risulta credibile solo quando è chiara, coerente e trasparente”.

“In Italia abbiamo avuto mille fonti: hanno comunicato gli esperti, hanno comunicato i giornalisti con articoli, opinioni, reportage e talk show, hanno comunicato le autorità locali e quelle centrali. E tutti si sono scatenati sui social network. Alcuni hanno comunicato mediamente bene e in modo pacato, altri in modo poco chiaro o ansiogeno, o contraddittorio, o strumentale. E questo ha creato un senso di oppressione e di fastidio. L’eccesso di comunicazione proveniente da troppe fonti, spesso in contraddizione o in aperta polemica, genera insofferenza, stanchezza, ansia, perdita di credibilità, e quindi di fiducia”.

“Il dato di fatto è questo: stiamo soffrendo così dolorosamente la seconda ondata della pandemia anche a causa dell’eccesso della comunicazione e della cacofonia di voci, unita all’assenza di valutazioni, indicazioni e orizzonti chiari. Certo: non ci sono soluzioni semplici per problemi complessi, ma un buon punto di partenza potrebbe essere quello di trarre ispirazione e insegnamento da chi è riuscito a parlare della pandemia in modo pacato, consistente, rassicurante, empatico e convincente. Fccio due nomi: la cancelliera Angela Merkel e il presidente Sergio Mattarella”.

L'infodemia evidenzia quanto la pandemia da coronavirus, più che colpire in tremini sanitari la salute delle persone, stia agendo a livello psichico.

Il connubbio infodemia e pandemia è responsabile delle paranoie emergenti, di nevrosi e psicosi, di scelte deliranti che portano alla negazione e alla follia, anche nelle scelte di alcuni governanti (il caso della Lombardia è, come si direbbe, un caso di studio, per l'inconsistenza di una classe dirigente incapace e pericolosa per i cittadini lombardi). L'infodemia si manifesta nella sua capacità di obnubilare le menti ma anche nel nascondere i numerosi atti di civismo che durante il confinamento si sono manifestati. Atti e momenti di elevato civismo che si sono espressi in gesti di aiuto reciproco e tanta solidarietà, di eroismo e volontariato, di comportamenti etici vestiti da grande dignità e generosità. 

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L'infodemia ha colpito anche la scienza e la narrazione che della pandemia ha fatto la classe medica, che alla scienza ha preferito sempre più la narrazione fatta di opinioni personali. A distanza di alcuni mesi scopriamo che è diventato difficile credere fino in fondo ai tanti epidemiologi intervistati quotidianamente dai media. In un paese nel quale tutti siamo allenatori della nazionale, ci sopriamo tutti epidemiologi, con il risultato che ognuno crede a quello che vuole, sposa teorie complottiste più o meno potenti e attrattive, sceglie quali approcci, comportamenti adottare sulla base di percezione, prima ancora che di corrette informazioni e conoscenze.

La colpa però non è solo dei media e della classe medica. Tutti siamo stati e siamo veramente coinvolti.

Tutti abbiamo responsabilità nel modo in cui abbiamo raccontato l'esperienza della pandemia, lasciando libero sfogo alle nostre paure, paranoie e nevrosi, ma anche agendo in modo irresponsabile lasciandoci guidare dal pensiero binario che caratterizza molte delle abitudini e dei comportamenti online. Comportamenti che si sono tradotti nel non prendere tempo per riflettere e elaborare pensiero critico prima di sposare un'idea, un'opinione, una notizia, prima di mettere un MiPiace o attivare una condivisione, prima di commentare o postare. 

Tutti dovremmo adottare il suggerimento di Bernard-Henry Levy: "[...] non si tratta più di guardare passare i treni o di ripetere, come un disco rotto, "mai più questo". [...] Sono tempi in cui bisogna fare, di tutto, politicamente, praticamente, attivamente, quasi manualmente, per fare in modo che quello che non vogliamo si ripeta mai più non si ripeta".

Il tutto nella consapevolezza che questa pandemia lascerà segni indelebili, non passerà velocemente e rimarrà con noi a lungo, fino alla prossima pandemia che, possiamo essere certi arriverà, è già in fase avanzata di formazione.

Come saremo in grado di anticiparla e di gestirla se della epidemia attuale non abbiamo capito quasi nulla?

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