Il testo che segue è stato tratto dal mio ebook E guardo il mondo da un display, pubblicato da Delos Dgital
Schermo: e se fosse tutto un reality show?
Come ha scritto Geert Lovink, “la rete democratica e di tutti è una bellissima favola alla quale nessuno crede più”, ma continua a essere il luogo nel quale fa comodo fingere di trovarsi benissimo. Sappiamo che la rete è controllata e in mano a pochi monopolisti e falsi demiurghi ma continuiamo a soddisfare i nostri desideri di condividere dati e informazioni, di scattare selfie e di esibirli online. Forse è proprio per questo che, mentre proliferano cinguettii e gli autoscatti e le masse presenziano beate gli schermi dei loro display, i reality show televisivi e gli spazi sociali dei social network, pochi amministratori, funzionari e politici, spesso neppure eletti, stanno gestendo con scarso controllo democratico le poche risorse disponibili per superare una delle crisi peggiori che il mondo occidentale sta vivendo dalla seconda guerra mondiale.
Foto di Carlo Mazzucchelli [2]
L’opinione pubblica e la sfera pubblica, ma anche le iniziative politiche, si esercitano e si svolgono nella realtà artificiale e finta della Rete. Ed è lì che rimangono, incapaci di incidere e cambiare la realtà (vedi le primavere arabe tanto decantate dai media e terminate in un silenzio mediatico assordante e colpevole), e superficialmente legate ad un hashtag o ad un semplice e sintetico cinguettio.
Finzioni: artifici e giardini dei sentieri che si biforcano
“…la questione che si pone è quella del confine tra finzione e realtà. Ed essa si pone da quando viviamo in un mondo di immagini che non è né vero né finto. In questo senso, la realtà è diventata finzione; ma deve essere chiaro che questa finzione non è del tutto menzognera…né del tutto inventata, anche se l'immagine rimane ingannevole: non facendo vedere tutto, non dice nulla; e non dicendo tutto, non mostra nulla.“ - Marc Augè
La realtà ha bisogno di alimentarsi di finzioni perché all’essere umano la realtà del mondo non basta mai (Finzioni di Borges). Basta ancora meno nel mondo tecnologico, visivo e iconografico nel quale è oggi immerso, uno spazio nel quale la finzione ha acquisito una straordinaria capacità di diventare realtà e cancellare, in un continuo gioco degli specchi (“copie delle copie” direbbe Baudrilliard), gli originali di cui è rappresentazione.
L’immagine, in quanto riproduzione e rappresentazione del reale, conferma la sua insita e insidiosa falsità (“A forza di copiar dalle copie delle copie, il modello si trasforma completamente.”). Lo sguardo, nella sua interpretazione del reale, è sempre più mediato tecnologicamente (emergere del tecno-inconscio) e come tale anch’esso falso, ingannatore e produttore di nuove finzioni. Con queste immagini e questo sguardo conviviamo oggi senza problemi, spesso privi di ogni consapevolezza sui potenziali effetti psicologici, personali e sociali. L’alternativa esiste ma richiede l’uscita dalla finzione e dal sogno tecnologico oggi prevalente.
Al mondo reale si tende da sempre a preferire quello della finzione, della rappresentazione e della simulazione, alla vita reale si tende ad associare quella di personaggi di storie letterarie, film, reality show, soap opera (quanto può essere reale il mondo della telenovela Il Segreto?) o opere teatrali (Sei personaggi in cerca di autore..). È il risultato dello sviluppo umano in termini di strumenti come il linguaggio, la scrittura e la capacità di astrazione. Uno sviluppo che ha portato all’immedesimazione con i molti mondi virtuali e tecnologici di cui è oggi popolata la nostra esistenza. Mondi nei quali la rappresentazione degli eventi e le immagini in cui ci si riflette alimentano esperienze personali, sociali e relazionali così come lo fanno persone e ambienti reali. La preferenza per il mondo della finzione e dell’apparenza è il frutto di un’evoluzione sociale e culturale che ha interessato sia la produzione letteraria, artistica e teatrale, sia i comportamenti, i gusti e la mente degli individui.
Un mondo popolato da macchine intelligenti
In un mondo, popolato di macchine intelligenti e di computer mobili e indossabili, la rappresentazione della realtà passa sempre più attraverso i loro schermi e la loro capacità di rivelare e illuminare la realtà trasformando il reale in verità. Come diceva Alex, il protagonista del film Arancia meccanica: “Se i colori del mondo reale appaiono veri soltanto quando li si vede sullo schermo, è soltanto lo schermo che ha la capacità di rivelare, di illuminare, di interpretare la realtà”.
Grazie al linguaggio sintetico e abbreviato dei dispositivi tecnologici, un semplice click o touch sul display di uno schermo può dare vita a nuove realtà virtuali, dare forma a identità anch’esse virtuali, creare contatti, stabilire relazioni amicali e sociali e abitare mondi paralleli, ludici, ologrammatici, di realtà aumentata e diminuita. A forza di click, swipe e touch su smartphone e tablet, dispositivi diventati protesi fisiche e cognitive del nostro essere moderno, abbiamo fatto scomparire i confini tra mondo virtuale e mondo reale e reso praticamente impossibile il ritorno al passato. La simbiosi tra i due mondi è tale che la nostra identità, personale e sociale reale, ci appare realizzata solo attraverso quella virtuale. Tutti percepiamo il lato oscuro che la caratterizza, quanto sia frutto delle nostre insicurezze e del bisogno di essere socialmente accettati, ma ciò che cerchiamo non è la verità o la realtà del reale quanto una semplice verosimiglianza con una sua logica interna capace di tranquillizzarci e farci stare bene.
Sappiamo di vivere in mondi virtuali fatti di rappresentazioni, simulazioni, illusioni, apparenze, gioco e tanti sogni. Questa consapevolezza e la riflessione critica che ne deriva è sufficiente a limitare gli effetti di una finzione diffusa capace di contrapporsi alla realtà del reale e di generare narrazioni che non rimandano più alla realtà ma soltanto alla vita parallela e virtuale dello schermo.
La finzione sullo schermo
Il gioco della finzione che scorre sullo schermo non è nulla di nuovo. Come ha ben descritto Vanni Codeluppi nel suo libro L’era dello schermo [1], la finzione moderna può essere fatta risalire all’epoca barocca (secolo Cinquecento), alla scoperta della differenza tra realtà e sua rappresentazione e alla accettazione sociale dell’esistenza di realtà fittizie. Con il Barocco la realtà si separa dalla finzione e assume una sua vita propria che prende forma nelle varie espressioni culturali e artistiche del tempo, nel teatro e nella letteratura (il romanzo borghese) e nella crescente ricerca di evasione nel mondo della finzione, da parte dello spettatore e del lettore. Così come il lettore del romanzo si è trovato a confrontarsi con i suoi personaggi inventati e a usarli per forme di identificazione utili alla ricerca della sua identità e autenticità, l’utente degli schermi digitali e delle loro realtà virtuali deve confrontarsi con i numerosi simulacri (apparenze che non rinviano ad alcuna realtà soggiacente e pretende di valere per quella stessa realtà – Wikipedia) e rappresentazioni della realtà di cui sono popolati.
La differenza con il passato sta nella maggiore forza attrattiva e desiderante dell’immagine, nella potenza magnetica dello schermo e nella sua capacità di attrarre la nostra attenzione coinvolgendoci in modo così convincente e intenso da impedirci di comprendere che la finzione dello schermo sta sostituendo la realtà del mondo reale. In una cultura impregnata della cultura post-moderna e nella quale non esistono verità o realtà vere ma solo interpretazioni, il tentativo del simulacro dello schermo di sostituirsi all’immagine reale e quello del mondo tecnologico di rimpiazzare quello naturale non è percepito come negativo ma come una nuova opportunità.Ad esempio nella sperimentazione della simulazione e dei suoi modelli che permette di verificare la validità di previsioni su fenomeni naturali come il clima terrestre, o sociali come le guerre, di riprodurne gli esiti e i potenziali effetti e di farlo in contesti protetti, reversibili e senza conseguenze perché semplicemente virtuali e simulati. L’azione simulata sullo schermo, ad esempio nell’uso di un simulatore di volo, è vissuta come reale ma le conseguenze, se ci sono, hanno effetto solo sullo schermo e, forse per questo, è vissuta come spazio di esperienza protetto e protettivo.
Incollati al display si perde la capcità di distinguere...
Sempre incollati al display lucido e illuminato di un dispositivo e sempre impegnati nella contemporaneità dell’evento, gli individui perdono la capacità di distinguere tra quello che scorre sullo schermo e ciò che è ancora visibile ai loro occhi, ma viene messo sullo sfondo o di lato. La riproduzione artificiale sul display, la sua forza visuale e la narrazione digitale trasformano la vita rappresentata sullo schermo nella vita vera e, per alcuni, nella sola vita che vale la pena di essere vissuta.
Se la realtà percepita come reale è quella dello schermo (non solo del computer ma anche quello televisivo e del cinema), composta da modelli e modelle belli come le statue delle divinità greche e romane, e dalle narrazioni che ne fanno i media, uscirne e ritornare nella realtà può essere così doloroso e deludente da diventare impraticabile e indesiderabile. È come visitare Las Vegas e sperimentarne le sue molteplici ingannevoli finzioni. Dopo avere visto e incontrato gli animali che costeggiano il percorso verso la piramide dell’Hotel Luxor o i loro miraggi, quelli dello zoo e ancor più quelli dei parchi africani appariranno come artificiali e poco realistici perché ‘troppo veri’. La stessa cosa potrebbe succedere incontrando i numerosi ‘barboni’ (Clochard, Homeless) che sempre a Las Vegas chiedono l’elemosina per un altro giro alle slot machine. Il rischio di prenderli come semplici miraggi o riproduzioni è già diventato realtà e non crea più nessun tipo di scandalo o riflessione di tipo morale o etico.
La finzione sullo schermo non è la sola a caratterizzare di finte, di menzogne e di falsità le nostre esperienze quotidiane. La nostra vita sociale è già vissuta come mascherata e condizionata dalle nostre paure, repressioni personali, pulsioni, debolezze e desideri che non vogliamo ammettere come reali. Quello che avviene sullo schermo non è nulla di diverso da quello che caratterizza la nostra vita reale.
Viviamo tempi interessanti caratterizzati dall'assenza
Secondo il filosofo Slavoy Zizek “Il Cyberspazio generalizza un approccio diffuso anche nella realtà, finalizzato a deprivare i prodotti della loro reale sostanza come caffè senza caffeina, panna senza grassi, birra senza alcool. Ne deriva una realtà privata di sostanza, nella quale lo stesso Io rappresentato sullo schermo, diventa un Sé decaffeinato.” (testo ripreso non in modo letterale). La differenza è che il mondo online fatto di rappresentazioni e simulazioni ci permette di sospendere le regole con cui governiamo le nostre vite reali e di giocare con personalità artificiali prive delle attitudini alla repressione che caratterizzano quelle reali. È così che forse si spiega come un giovane timido e che si sente respinto dai suoi compagni di classe, si costruisca su Facebook un profilo di guerriero e poi lo vada a interpretare nella realtà. L’interpretazione innocente e forse psicologicamente terapeutica di un videogioco passa così dalla simulazione dello schermo al cimitero di bare che si lascia dietro nella realtà, una delle quali predestinata allo stesso protagonista e giocatore.
I college americani disseminati di morti innocenti sono spazi fisici molto reali. Quello che ogni tanto vi succede viene spesso esorcizzato, anche dai media, come un sogno, un incubo del quale è meglio liberarsi in tempi brevi perché la realtà non può essere quella tragica dei fatti di cronaca. Il sogno prende forma sullo schermo del ragazzo killer come rappresentazione dei suoi fantasmi, immagini mentali, situazioni inesistenti ma percepite come reali, e deliri. Il tentativo di dare materialità a questi sogni non avviene però sullo schermo ma dentro le classi di un college. L’uscita dal sogno, e che di sogno si tratti lo dimostra l’esperienza del risveglio, permette l’uscita dallo schermo matrice (Matrix) ma anche la dura esperienza della realtà nel mondo fuori. Un’esperienza che sottolinea, per quanti credono solo alla finzione e alla rappresentazione, l’esistenza di un mondo fuori dello schermo e testimonia la componente virtuale e immaginaria di quello dentro di esso.
Lo sguardo perso dentro un display finestra, specchio, vetrina...
Lo sguardo sempre puntato sul display, specchio e finestra, del dispositivo mobile è tanto più illusorio quanto più si riconosce negli innumerevoli sguardi con cui viene in contatto. Sono sguardi che si incontrano proiettando riflessi reciproci in un gioco ambiguo e infinito di specchi nei quali è impossibile ritrovare se stessi.
La realtà che essi intercettano è stata strappata dall’ombra, è sempre ben illuminata e si presenta come radiosa ma soprattutto capace di affascinare perché costantemente giocata al confine tra finzione e realtà. Tutta colpa delle immagini, e della loro prevalenza nella comunicazione umana del terzo millennio. Colpa del nostro cervello sempre più governato dalla componente visuale, olistica (visione dell’insieme), analogica (opera per analogie, somiglianze e differenze), spaziale, e immaginifica (capacità di immaginare e astrarre), del suo emisfero destro. L’inganno dell’immagine sta nel suo non essere completamente falsa e neppure assolutamente vera. Provate a pensare alle molte fotografie che di questi tempi ci raccontano le migrazioni in corso o le guerre del califfato.
L’immagine del bambino morto sulla spiaggia non fa vedere tutto e nasconde forse una realtà ancor più drammatica, al tempo stesso con la sua forza iconica fa comprendere molto del dramma dei migranti e in modo non menzognero. L’immagine video della distruzione di un tempio nella zona archeologica di Palmira indica che la violenza iconoclastica delle armate del Dāʿish (Isis) non è inventata ma al tempo stesso quanto sia ingannevole perché scarse sono le testimonianze che offre su quanto stia effettivamente succedendo nei dintorni e in Siria.
L’immagine riflessa sul display che ci interessa maggiormente non è quella dell’oggetto ma la nostra, quella materiale del selfie e soprattutto quella spirituale alla costante ricerca di se stessi. La ricerca si svolge nella realtà virtuale ma anch’essa è una semplice proiezione di una ricerca ben più complicata che avviene nella vita reale. La difficoltà nasce forse da esperienze che sono virtuali e reali al tempo stesso e che non riusciamo più a distinguere in modo chiaro. In queste realtà sono spariti i confini temporali e spaziali, le distanze tra il giorno e la notte e la realtà dei fatti.
Le machine al lavoro, gli umani senza lavoro felici e contenti!
Se la notizia dell’avvenimento sotto casa mi arriva da una pagina web nel mio salotto di casa o se il giornalista di guerra non si muove più sul territorio ma da uno studio tecnologico, il fatto vero finisce per diventare quello raccontato dallo schermo. La soluzione non sembra essere legata allo sviluppo di una riflessione critica sulla pervasività delle realtà virtuali dello schermo ma piuttosto alla speranza che quelle realtà diventino le uniche reali. Una soluzione a cui aspirerebbero, secondo il filosofo Paul Virilio, i comuni mortali dell’era tecnologica, poco interessati ad andare oltre l’apparenza delle cose e a svelare l’illusorietà delle realtà percepite perché molto più preoccupati di svelare, al di là dello schermo, la loro limitatezza, piccolezza e infelicità.
Il catastrofismo tecnofobico e tecnocritico di filosofi come Virilio non devono però condurre al pessimismo e al nichilismo. Il mondo apparente dello schermo è anche uno spazio ludico e di gioco e uno di questi giochi è quello eterno tra finzione e realtà.
Bibliografia
Una BIBLIOGRAFIA allargata è disponibile su SoloTablet a questo LINK.
[1] L’autore del libro prende atto della proliferazione e diffusione degli schermi e si interroga verso cosa ci stiano portando. La riflessione è un viaggio attraverso le molteplici forme assunte nel tempo dagli schermi, dai media come il cinema, la televisione o Internet. Obiettivo è fornire strumenti per una migliore comprensioe degli effetti degli schermi tecnologici sulla cultura contemporanea e sul modo di pensare degli individui.
[2] Le immagini sono fotografie di Carlo Mazzucchelli