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Lo smartphone è misura di tutte le cose

Lo smartphone è misura di tutte le cose

10 Febbraio 2018 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Il testo del titolo fa riferimento alla massima che ha reso famoso il filosofo sofista Protagora secondo il quale “l'uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono, e di quelle che non sono in quanto non sono". Il filosofo guardava all’uomo inteso come individuo e sottolineava la relatività della verità perché ognuno vede le cose alla sua maniera e in modo diverso.

Negando l’esistenza di una verità assoluta (per ciascuno è vero ciò che gli appare), Protagora ha anticipato la postmodernità nella quale tutto è interpretazione. Oggi a essere misura di tutte le cose aspira la tecnologia, in particolare con i suoi gadget tecnologici Mobile e le loro applicazioni. Lo smartphone in particolare sembra essere diventato strumento di verità e di interpretazione del mondo. L'uso che ne facciamo determina ciò che vediamo, ciò che ci piace, ciò in cui crediamo, come ci relazioniamo agli altri e quello che facciamo. Siamo sempre più il nostro smartphone!

La misura di ogni sguardo sul mondo

Lo smartphone con il suo display sempre acceso e ammiccante è sempre più misura di ogni cosa, come dispositivo, come media e come mezzo per percepire e interagire con il mondo, sia esso quello virtuale dei contatti e profili online o quello reale delle persone che questi profili hanno creato.

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Con più di due miliardi di dispositivi in circolazione e una previsione di raggiungere e superare i quattro miliardi, lo smartphone è diventato un prodotto universale e strumento fondante (La tecnologia non è più un semplice strumento!) della nuova realtà relazionale, cognitiva e psichica emergente (posseggo uno smartphone, quindi sono). Lo smartphone è diventato sempre più strumento potente di personal computing rubando lo scettro a dispositivi più grandi e potenti come PC, tablet e sistemi 2-in-1 e assumendo un ruolo centrale e insostituibile nella vita quotidiana delle persone, ma soprattutto può essere eletto a metafora del mondo tecno-moderno e a misura della fase attuale di evoluzione della specie umana.

Da Protagora a Steve Jobs

L’interpretazione delle massime di Protagora non è univoca, soprattutto se collocata in vicende ateniesi caratterizzate dall’emergere di una classe plebea che si opponeva a quella aristocratica detentrice del potere. Affermare che ogni uomo è misura di tutte le cose significava, in quel contesto, negare la pretesa degli aristocratici di essere gli unici a poterlo essere.

Oggi grazie allo smartphone tutti possono aspirare a un proprio strumento di misura e di interpretazione del mondo anche se gli aristocratici posseggono un iPhone o un Galxy S7 e i plebei semplici dispositivi Android e cinesi di fascia bassa. Mentre però l’uomo di Protagora era misura di ogni percezione e sensazione e soggetto creatore di verità, lo smartphone tende a generare verità oggettive determinate dalle interfacce di cui è dotato, dai meccanismi tecnologici su cui è costruito, dagli automatismi e gli algoritmi che lo animano e dall’introiezione da parte dell’utilizzatore delle regole che sottendono alle sue applicazioni e funzionalità. Quella che ne deriva è una cessione di libertà allo strumento e la perdita della capacità nel misurare le cose, quelle che per Protagora erano le cose che servono e sono utili come gli affari, compresi quelli pubblici (la politica e a gestione del bene pubblico).

Il dibattito ateniese che si svolgeva tra intellettuali e potenti del tempo escludeva da esso le masse plebee. Discutere oggi dello smartphone significa al contrario partire proprio da ciò che le masse di consumatori fanno e dai loro stili di vita. Uno sguardo non visto su questi stili e fatti di vita mostrerebbe la penetrazione del dispositivo tecnologico in ogni ambito di vita, dal risveglio di una giovane donna e del suo compagno che prima di augurarsi buona giornata pensano a controllare le notifiche ricevute, dalla colazione nella quale i figli di una coppia più anziana sono persi nei molteplici display che li circondano al pranzo di lavoro con amici nel quale il silenzio e la chimica che solitamente anima le conversazioni sono rapidamente sovrastate dal rumore di fondo delle interazioni digitali (Amici dove siete? Perché non possiamo guardarci e conversare?).

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I nuovi stili di vita e le teste sempre connesse

I nuovi stili di vita e i comportamenti che rendono opportune e forse necessarie nuove riflessioni evidenziano quanto lo smartphone sia diventato strumento pervasivo e misura di ogni attività umana, di ogni comportamento individuale e sociale, autorappresentazione psichica e percezione del Sè, abilità lavorativa e professionale, capacità comunicativa, interazione con la realtà, elaborazione intellettuale e cognitiva e relazione umana. E’ una pervasività che rende impensabile ai più immaginare di guardare, interagire e interpretare il mondo senza uno smartphone e il suo occhio scrutatore e la sua fotocamera da selfie. Così come impensabile immaginare di dover tornare, per avere dimenticato o perso il proprio smartphone, a sperimentare la socialità e l’esperienza di gruppo con altre persone senza alcuna mediazione di tipo tecnologico.

Ciò che è arcaicamente legato alla natura umana, l’esperienza di esistere con e per gli altri, apre la strada alla scoperta del mondo, alla condivisione di visioni e obiettivi, alla collaborazione, alla solidarietà e alla compassione. E’ una scoperta che passa attraverso il confronto di visioni, prospettive, interpretazioni e che porta a visioni comuni o condivise, alla reciproca conoscenza e condivisione di senso delle cose e alla vicinanza esperienziale.

Lo smartphone collocato in un contesto come questo sembra un elefante nel negozio di cristalleria. Il secondo trasformerebbe il negozio in un ammasso di cristalli da riciclare, il primo trasforma l’esperienza umana in profondità, dando forma a mondi nei quali ci si sente insieme, solidali, socievoli e collaborativi ma in realtà si è intimamente soli, esclusivamente autoreferenziali (come quelli che dopo avere scritto un post su Facebook vi appongono il loro Like), bisognosi di socialità e collaborativi nella forma.

Comprendere quello che sta succedendo è molto difficile tanto siamo presi dentro l’ingranaggio e complici noi stessi della trasformazione tecnologica in corso. Creare realtà virtuali è diventato più semplice di crearne di reali, magari insieme con altri (co-creazione) e in modo coinvolgente e empatico per la condivisione della stessa esperienza o progetto.

Nessuno suggerisce di rinunciare al dispositivo tecnologico ma tutti sno chiamati a  riflettere sulla differenza esistente tra condividere propositi, obiettivi e idee nei mondi virtuali digitali ed esistere come esseri umani che usano il linguaggio e le connessioni umane per arricchire (dare senso) la propria vita e quella degli altri.

Osservare, guardarsi e riflettere

La riflessione dovrebbe partire dall’uso che dello smartphone viene fatto in luoghi pubblici, ad esempio in un metro o bus pubblico e dal fatto che nessuno sarebbe oggi in grado di immaginare una vita senza di esso. Non sarebbero capaci i nativi digitali cresciuti a cereali e display mobili ma neppure gli immigrati digitali diventati adulti con nutella, telefono fisso e schermo catodico. I primi, svegliandosi al mattino realizzando di avere perso il loro amico tecnologico, potrebbero soffrire di immediate crisi depressivi ed esperienze di panico reale. I secondi dimentichi dello smartphone per il manifestarsi dei primi segni di Alzheimer potrebbero sentirsi persi e incapaci di trovare le vie di casa.

Riflettere sul ruolo dello smartphone come misura di ogni cosa, osservando le proprie reazioni di stress, di infelicità e di panico in assenza di uno strumento che è ormai usato in situazioni di vita diverse, permetterebbe di rendersi conto della sua importanza e insostituibilità e di elaborare adeguate contro-misure. Queste reazioni sono in genere irrazionali e legate a emozioni forti come: la paura di perdere un dispositivo che ormai è percepito come più essenziale di un orologio o di un portafoglio; sentirsi perduti , isolati e soli per avere dimenticato lo smartphone a casa; sentirsi defraudati della fiducia dell’unico amico ormai considerato tale; l’urgenza di trovare una presa elettrica per ricaricare una batteria in fase di esaurimento; il sentirsi perduti in assenza delle informazioni e indicazioni direzionali, contestualizzate e geo-localizzate dei sensori e delle applicazioni (Google Maps) del dispositivo; la perdita di autostima per avere perso uno strumento fondamentale di sopravvivenza e autosufficienza; la sparizione di una zona confortevole  in cui sentirsi protetto, sicuro perché connesso e in comunicazione con amici e contatti;  il panico che deriva dal non ricordarsi dove si è messo il dispositivo e dalla ricerca infruttuosa perché dettata dalla paura e dalla superficialità di una ricerca condotta di fretta e in preda al terrore o alla disperazione.

Nomofobia in assenza di connessione

L’assenza di un dispositivo mobile può generare una paura o patologia nota come nomofobia (no-mobile-phone), solitamente determinata dall’impossibilità di comunicare con le persone con cui si è collegati, con la perdita della connessione a Internet e alla Rete, con l’impossibilità di avere accesso all’informazione e con la percezione di perdere possibilità e opportunità. Le nuove forme di patologie sono diverse da quelle legate all’uso dei videogiochi.

Lo smartphone non è solo uno strumento per accedere all’informazione, per giocare o divertirsi ma soddisfa alcuni bisogni primari come l’apprendimento, lo sviluppo di capacità e abilità individuali, la sicurezza (la vita di molte donne di ritorno a casa dopo la discoteca è oggi molto più sicura) e le relazioni interpersonali. Lo smartphone soddisfa bisogni reali fornendo benefici apparenti o percepiti come tali, ma è anche causa di alcuni problemi come l’uso compulsivo dello strumento, l’ansia da stress, la difficoltà a concentrarsi e a rubare tempo e risorse cognitive al display e la dipendenza. Questi problemi possono tradursi in forme patologiche come la nomofobia (la paura e il panico derivanti dal fatto di non disporre di un dispositivo mobile e dei suoi contatti) sopra citata. E’ una patologia che interessa, secondo le numerosi indagini fin qui condotte e in forme più o meno gravi, più del 50/60% dei possessori di un  dispositivo mobile (58% di maschi e 48% di donne).

Benchè la necessità e l’urgenza di comprendere ciò che caratterizza il rapporto problematico con il dispositivo mobile siano in realtà apparenti, molte indagini evidenziano il carattere di dipendenza e le alterazioni nelle emozioni e nei comportamenti che il dispositivo sembra essere in grado di generare, suggerendo una riflessione che vada oltre la superficie e analizzi i sintomi e gli effetti con lenti diverse e tecno-critiche capaci di problematizzare il rapporto oggi esistente tra utente e dispositivo.

La misura del tempo e della socialità

Lo smartphone con i suoi display multi-colorati, dinamici e sempre in scorrimento veloce non svolge solo una funzione di informazione e comunicazione ma anche di socializzazione in forme e tempi diversi da quelli della realtà fattuale. Una differenza che evidenzia come il dispositivo mobile sia metafora e strumento dell’era postmoderna caratterizzata dall’iperconsumismo e dall’individualismo e dal prevalere di un modo di vivere il tempo contradditorio perché tutto basato sul momento presente, sull’incontro di tempo reale e tempo irreale (l’assenza di tempo della realtà virtuale), sulla scarsa distinguibilità tra momenti importanti e meno importanti, sulla sparizione del futuro e sull’ininfluenza del passato.

La sparizione del tempo e l’affermarsi del grande presente dipende dalla presenza pervasiva di schermi che riempiono ogni spazio di vita: casa, lavoro, treno, autobus, aeroporti, aereo, bancomat, bar, ristorante, ufficio, negozio o centro commerciale, banca e qualsiasi altro spazio che ci vede attivi in mobilità come utenti di un dispositivo mobile. Prima della proliferazione degli schermi, per andare da un posto all’altro si impiegava del tempo, si percepiva il suo scorrere lento, si sperimentava il piacere della scoperta e la meraviglia della sopresa. Oggi si viaggia da un’immagine a un’altra e da un video ad un altro, si percorrono spazi virtualizzati dentro le cornici di uno schermo, si interagisce tra estranei (Neil Postman direbbe tra fantasmi) e stranieri attraverso mediatori tecnologici e non si riesce mai a fermarsi per guardare fuori dal finestrino (schermo finestra) tanto si è impegnati a navigare, chattare, battere sulla tastiera e a mantenersi connessi.

Il tempo, da sempre oggetto di riflessioni filosofiche e scientifiche, mai come in questi anni è stato tema di numerosissime pubblicazioni e ricerche. Capire il tempo, come hanno ben illustrato numerosi filosofi (Heidegger con Essere e tempo  ad esempio) significa capire la soggettività dell’essere umano e la sua vita nel mondo. La tecnologia che ha cambiato la percezione e l’esperienza soggettiva del tempo (La tecnologia si prepara a cambiare la nostra vita intima, amorosa e sessuale) è diventata una componente costante della vita quotidiana di ogni persona e, come tale, deve essere studiata e analizzata. Non si tratta di rifiutarne il ruolo o di ostracizzarla ma di conoscerla meglio per capire i cambiamenti che sta causando e cosa ci sta facendo, anche nel nostro modo di percepire e vivere il tempo. L’obiettivo non può essere la sua eliminazione dalle nostre vite, cosa resa impossibile dalla sua evoluzione continua e dal livello diffuso di gradimento e di utilizzo, ma la ricerca e la scoperta del modo in cui sia possibile trarre da essa maggiori e reali benefici evolvendo e integrandosi sempre più con essa.

Lo smartphone misura del tempo attuale ha eliminato, unitamente a Internet e alle sue applicazioni (Browser, APP, MP3, Video, Giochi, ecc.) e soprattutto nelle nuove generazioni di nativi digitali, la distinzione tra giorno e notte, tra ambito privato e pubblico, tra luogo di lavoro e spazio domestico ma soprattutto i confini tra spazio e tempo. Il tempo dello smartphone ha reso tutto più veloce, più ubiquo e senza confini spaziali, più dinamico, instabile e gestibile in parallelo (multitasking). E’ con questo tipo di tempo sincronico che fanno esperienza i miliardi di persone che si connettono più volte al giorno e abitano i social network divorando una quantità di informazioni che non è mai stata coì grande in tutta la storia dell’umanità.

Il tempo tecnologico non ha comportato alcuna radicale riorganizzazione dei tempi che cadenzano la vita di ogni giorno ma il cambiamento dei loro ritmi e dei meccanismi che li caratterizzano. Si continua a fare le cose che si sono sempre fatte (conversare, socializzare, comunicare, lavorare, ecc.) ma con ritmi accelerati focalizzati al tempo reale, all’urgenza e all’immediatezza. Sono ritmi che ad alcuni ricordano quelli ciclici e ripetitivi delle macchine e degli automi e che hanno cambiato radicalmente il modo di vivere e le esperienze che caratterizzano ogni attività umana. Rispetto al passato la vita sociale e quella privata non sembrano essere cambiate ma la tecnologia le ha permeate con elementi nuovi, spesso imposti o volontariamente accettati perché offrono momenti di eccitamento e di piacere e dalla sensazione di essere sempre connessi con se stessi e interconnessi con il mondo. A cambiare non è l’organizzazione del tempo ma la sua percezione tutta centrata sul momento e legata alle attività che lo caratterizzano.

Lo smartphone è anche misura della felicità individuale e della socialità. E’ lo strumento perfetto per un’era postmoderna nella quale, venute meno le grandi verità e le ideologie, il lavoratore-consumatore è alla ricerca della felicità da portare a termine in modo individuale e da realizzare nel qui e ora del tempo tecnologico segnato dallo squillo dei telefonini, dai cinguettii e dalle notifiche di Facebook. Non interessa più la salvezza propria o del mondo e ancora meno ci si impegna per la realizzazione di un progetto sociale o politico. I nuovi comportamenti richiamano le descrizioni della società iperconsumista di Lipovetsky e la società liquida alla ricerca di comunità di Zygmunt Bauman e ne testimoniano i problemi.

La felicità dell’attimo fuggente (Velocità di fuga della tecnologia e ritardi molto umani) si brucia in un istante obbligando a una ricerca continua e spesso infruttuosa di nuovi momenti di felicità. Ne deriva un impegno perpetuo che causa stress e angoscia oltre che solitudine e infelicità. Se paragoniamo i numerosi momenti di felicità che i prodotti tecnologici sono in grado di regalare a shock adrenalinici continui, si comprende bene l’insorgenza di situazioni di dipendenza e di comportamenti compulsivi. La prima porta a non distaccarsi mai dallo strumento tecnologico, i secondi servono a liberarsi dalla sofferenza dell’ansia e dello stress con nuovi acquisti e consumi nella speranza che possano generare nuovi shock di felicità.

Mondo digitale e centri commerciali

Il mondo digitale è sempre più assimilabile a un grande centro commerciale (più grande di quello di Arese da poco aperto) con i suoi mille punti vendita (la cupa Caverna di Saramago ma anche il torbido e immaginifico Regno a venire di Ballard).

Nel punto vendita e in tutti i percorsi video-guidati all’interno del centro commerciale i visitatori sono esposti a mille schermi tecnologici contenenti immagini accattivanti, emozionanti e erotizzanti, video narranti e messaggi promozionali che hanno come unico obiettivo (anche in questo periodo di decrescita effettiva e deflazione) di creare nuovi bisogni. Nel mondo digitale tutto avviene sempre su un display ma a farsi carico dell’immagine, del video e dei messaggi sono intere piattaforme tecnologiche chiamate Google, Facebook, Instagram, Pinterest, YouTube e Google Plus. Sono queste piattaforme che ci fanno rientrare in Facebook in media 14 volte al giorno e ci fanno soggiornare per tempi sempre più lunghi. Così facendo creano le condizioni per comunicarci nuovi messaggi personalizzati e contestualizzati ma soprattutto per catturare la nostra attenzione e il nostro tempo eliminando ogni costrizione spaziale.

Dentro il centro commerciale ma anche in ogni attimo della nostra vita Mobile, grazie allo smartphone di cui siamo dotati, possiamo essere tracciati e monitorati in ogni cosa facciamo e in ogni nostro spostamento. Lo smartphone con la sua connettività fa da agente segreto di collegamento con i sensori di cui sono pieni i punti vendita e da veicolo di trasmissione dati che vanno ad arricchire quelli già raccolti attraverso le videocamere e altre soluzioni tecnologiche. Questi dati sono usati per delineare i profili dei consumatori e per apprendere i loro comportamenti e le loro abitudini durante i processi di acquisto. Vengono poi analizzati e usati per cambiare la disposizione delle categorie di prodotti a scaffale, la planimetrie e l’organizzazione degli spazi, le offerte di sconto e le promozioni e per personalizzare l’offerta.

La quantità di dati che può essere raccolta è diversa a seconda dei punti vendita e dagli investimenti fatti in tecnologia a scopi di marketing e comunicazione. Grazie alle nuove tecnologie i dati raccolti sono sempre più dettagliati e tali da fornire informazioni sulle espressioni facciali, reazioni emotive ma a fare la differenza e a diventare misura del successo di una strategia promozionale nel punto vendita è ancora lo smartphone. Se il consumatore ha scaricato le APP del negozio o del punto vendita sul suo smartphone ha aperto un canale di comunicazione stabile e trasparente attraverso il quale è possibile vedere cosa ha cercato in Rete e di personalizzare un’offerta o una esperienza di acquisto.

Smartphone: una metafora da superare

Nessuno avrebbe previsto che in 30 anni un oggetto tecnologico come lo smartphone avrebbe assunto un ruolo così importante nella vita delle persone. Oggi lo smartphone non è più un semplice gadget ma la stessa nostra vita e misura di essa. Su di esso valutiamo la nostra felicità e produttività, la nostra socialità e percezione del Sé ma soprattutto il mondo come ci appare attraverso il suo display.

Lo smartphone ha modificato il modo di lavorare, la vita privata e sociale delle persone (sempre più spesso si parla con il proprio dispositivo e meno con persone in carne e ossa). Con i suoi meccanismi di notifica e la sua connettività è diventato uno strumento di informazione, di interazione e di aggiornamento continuo. Con le sue migliaia di APP si è trasformato in strumento di produttività ma anche di perdita di tempo e di surplus cognitivo. Più in profondità lo smartphone ha cambiato il nostro cervello e la nostra psiche, sta cambiando il nostro modo di guardare al mondo e di interagire con la realtà. Ad esempio ha favorito individualismo e narcisismo e messo in secondo piano socialità e solidarietà. Ha creato una miriade di mondi possibili ma impedisce di dare forma concreta a mondi desiderati. Ha permesso di rappresentare noi stessi in una miriade di profili (maschere=persona) artificiali ma ci impedisce di ritrovare l'unico che ci interessa.

Grazie alle nuove tecnologie digitali il mondo è diventato un unico grande alveare. Smartphone e tablet, Internet e social network hanno globalizzato il mondo, ben prima dell’economia e nulla sarà più come prima. La complessità della globalizzazione tecnologica ed economica ha messo in crisi verità e strumenti di analisi, leggi e modelli interpretativi, abitudini ed equilibri consolidati. I vecchi modelli interpretativi della realtà, compreso quello di Protagora riverberatosi nella postmodernità, non funzionano più e non ci permettono ci comprendere quanto siano grandi e profondi i cambiamenti in corso, sia nei loro effetti negativi sia nelle loro molteplici e straordinarie opportunità.

In pochi anni abbiamo visto imporsi, anche nella sfera delle relazioni sociali e a livello cognitivo, la rivoluzione digitale e algoritmica. Se nel mondo analogico l’uomo poteva pensare di agire come regolatore di se stesso e del mondo, compreso quello tecnico, oggi questa prerogativa è passata nella mani della tecnologia. La sua pervasività determina la sua capacità di manipolazione del mondo in termini di nano-tecnologie, sensori, algoritmi e automatismi che finiscono per relegare gli esseri umani in secondo piano e di rendere loro invisibili i meccanismi che operano prevalentemente a livello linguistico, cognitivo e psichico (come spiegare altrimenti la difficoltà a staccarci dallo smartphone) e di conseguenza anche sociale e politico.

 

L’uomo di Protagora era l’artigiano o il plebeo che vantava il suo diritto a giudicare le cose del mondo così come facevano gli aristocratici. Oggi l’uomo tecnologico dotato di smartphone è sempre più connesso e al corrente delle cose del mondo ma sempre meno misura di tutte le cose e vittima di automatismi di cui si fa spontaneamente schiavo. Convinto di avere in mano il mondo attraverso il suo smartphone l’uomo post-moderno ha perso in realtà la possibilità di manipolarlo e cambiarlo. E’ attraverso lo smartphone e il gadget tecnologico che si esercita oggi il controllo sociale e politico e che ci trasforma tutti in semplici meccanismi di una tecno-sfera che ha preso il sopravvento perché ha colonizzato le menti e trasformarci tutti in felici protagonisti compartecipi della rivoluzione tecnologica in corso. E la responsabilità maggiore non è dello smartphone o del media tecnologico ma delle masse di persone che lo usano assorbendolo e trasformandolo nello strumento importante che esso è diventato.

Lo smartphone e la vita virtuale online, così come la ricerca costante della ricchezza  intesa come possesso di beni di consumo, hanno finito per rubarci attenzione e tempo. In possesso di un iPhone di ultima generazione o degli ultimi prodotti alla moda crediamo di avere soddisfatto i nostri bisogni ma in realtà non abbiamo fatto altro che alimentare la dipendenza da essi e per ritrovarci al punto di partenza, con altri bisogni e con una grande sensazione di assenza di qualcosa.

Lo smartphone è una delle metafore potenti della nostra esistenza attuale e, come tutte ll matafore, è talmente integrata nei nostri apparati logici da impedirne una loro rapida mutazione. Eppure una mutazione (aggiustamento evolutivo) sarà forse necessaria se l'uomo vuole evitare l'appiattimento percettivo e il prevalere di modelli generalizzati e automatici per tornare a essere misura del mondo, nelle sue varie espressioni economiche, culturali, sociali e politiche. Recuperare la libertà dal proprio dispositivo mobile non significa solo recuperare tempo ma anche la possibilità di compiere libere scelte per non perdere la propria autonomia (Abbiamo bisogno di utopia ma sogniamo e costruiamo distopie).

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