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Da Homo sapiens a Homo Sapiens Digitalis

Da Homo sapiens a Homo Sapiens Digitalis

14 Marzo 2018 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Condivido volentieri il mio intervento al convegno SIPNEI del 3 febbraio 2018 sull'era digitale. Un convegno che è stato un'occasione di incontro per una maggiore consapevolezza critica utile a far luce sulla complessità del fenomeno tecnologico ed incentivare una riflessione costruttiva. In questo incontro io ho portato il mio contributo che ora condivido qui con chi segue SoloTablet.

L'era digitale si è instaurata nelle esistenze umane con le caratteristiche di un processo evolutivo silenzioso, inesorabile e pervasivo. Vede protagonista una tecnologia divenuta  ambiente  da  abitare,  estensione  della  mente  umana,  mondo  che  si  intreccia  con  il  mondo  reale  determinando  vere  e  proprie  ristrutturazioni  cognitive,  emotive  e  sociali  dell’esperienza.   L'era digitale suggerisce riflessioni approfondite sulla tecnologia e sulla sua volontà di potenza in modo da meglio comprendere i suoi effetti nella costruzione dell'identità e del Sè, sulla socialità e sul benessere personale ma anche in ambiti quali il lavoro, la sicurezza, la libertà del consumatore e del cittadino.


INDICE

  1. Introduzione
  2. Alcune premesse, suggerite da un questionario-indagine
  3. Sintonizziamoci cognitivamente
  4. Per una riflessione critica e consapevole
  5. Tecnofobi o tecnofili?
  6. Parole chiave per comprendere la rivoluzione in atto
  7. A cosa prestare attenzione
  8. Display dal magnetismo magico e irresistibile
  9. Relazioni sociali al tempo dei social
  10. Relazioni sociali al tempo dei social
  11. Stiamo per essere riprogrammati?
  12. Controllo e sorveglianza
  13. Automazione e avvento delle macchine
  14. Il cervello aumentato, l’uomo diminuito (Miguel Benasayag)
  15. Disinformazione e misinformazione
  16. Lettura e apprendimento
  17. Strategie di difesa
  18. Una bibliografia per tecnovigili e tecno-consapevoli

Introduzione

Da Homo sapiens a Homo Sapiens Digitalis, un titolo impegnativo ma usato semplicemente per contestualizzare l’ambito del mio intervento. 

La vastità dei temi suggeriti da un evento sull'Era Digitale, mi ha obbligato a fare delle scelte. Ho deciso di condividere alcuni spunti utili per una riflessione, non scontata e non conformistica, su argomenti che tutti pensiamo di conoscere e possedere ma dei quali abbiamo probabilmente scarsa conoscenza e consapevolezza.

La tecnologia è diventata High Tech e High Touch (il riferimento è al libro di John Naisbitt del 1999) ma ci ha reso estremamente fragili e deboli nei suoi confronti. Ha trasformato il mondo in immagini, sta modificando la percezione della realtà e il nostro modo di interagire con essa, abituandoci a dare tutto per scontato, anche quando scontato non dovrebbe esserlo.

Stiamo vivendo una nuova fase evolutiva, forse rivoluzionaria, tra le tante che hanno caratterizzato l’evoluzione del genere umano. Dopo la rivoluzione cognitiva di circa 70000 anni fa, quella agricola di 12000 anni fa, quella scientifica e industriale, oggi è il tempo di quella tecnologica o digitale.

Il passaggio segnato da queste rivoluzioni non lo abbiamo fatto da soli ma in compagnia di tanti altri esseri, animali e umani. In futuro saremo in compagnia di macchine, robot, esseri transumani o superumani (Homo technologicus, oltre i limiti dell'umano), dotati di intelligenza artificiale e capacità di apprendere. Macchine digitali che marcheranno l’avvento della singolarità e forse il superamento dell’essere umano come lo conosciamo oggi.

La rivoluzione digitale che stiamo vivendo suggerisce altri convegni come questo e una riflessione ampia, approfondita, perseverante nel tempo e condivisa. A questa riflessione io sto dando un mio contributo personale con la pubblicazione di libri sul tema e con il mio progetto editoriale SoloTablet.it.

I miei e-book pubblicati nella collana Technovisions di Delos Digital

Alcune premesse, suggerite dal questionario

Prima di iniziare ritengo necessario fare alcune premesse legate a commenti ricevuti attraverso il questionario che abbiamo condotto in preparazione di questo evento.

Il fatto di avere focalizzato l’attenzione sul lato oscuro della tecnologia è stata una scelta che non implica l’adesione ad alcuna ideologia tecnofobica o la sottovalutazione delle numerose opportunità che la tecnologia ci sta offrendo.

In genere si parla di tecnologia riferendosi alle tecnologie dell’informazione. In realtà rivoluzioni tecnologiche profonde stanno avvenendo in moltissimi altri campi come quello della mobilità e dell’energia, della chimica, della neuroscienza, della genetica e della ingegneria.

Quando si parla di rischio dipendenza dalla tecnologia è meglio sottolineare che si fa riferimento a una forma di dipendenza di tipo comportamentale, non da tutti gli psicologi condivisa o ritenuta dannosa e comparabile con altre forme di dipendenze.

Per una presa di coscienza sulla tecnologia è meglio nutrire dei timori piuttosto che non averne. La nostra interazione con la tecnologia non deve essere passiva ma vigile, con gli occhi e la mente bene aperti.

Il futuro non è prevedibile ma i trend in atto sono tutti abbastanza evidenti, chiari a tutti, da alcuni ritenuti inevitabili. Il cambiamento è diventato il destino di qualunque cosa facciamo ma le direzioni verso le quali sta andando non sono tutte predeterminate. Dalle auto a quattro ruote poteva anche venir fuori qualcosa di diverso del SUV così come la messaggistica istantanea non obbliga a cinguettare ogni cinque minuti per affermare di avere il bottone più grande del proprio concorrente.

 

Sintonizziamoci cognitivamente

La tecnologia non cambia solo la realtà ma anche la cultura, il linguaggio, i concetti e i loro significati. Per provare a sintonizzarmi cognitivamente con voi credo sia utile condividere alcuni concetti e i significati che io assegno loro.

Lo smartphone è molto più di un semplice dispositivo telefonico. E’ l’artefatto simbolo della nostra epoca, un mediatore universale della vita di tutti i giorni che ne ha riorganizzato i tempi e gli spazi (Il cyberspazio è uno spazio divertente, specchio della nostra società). Ha sostituito e inghiottito una miriade di altri oggetti (biglietti da visita. Agende, schedari, radio, macchina fotografica) che prima eravamo abituati a portarci appresso  e che definivano i nostri stili di vita. La sua ubiquità lo rende un oggetto affatto banale. Il fatto di usarlo così spesso ce lo rende in parte incomprensibile e inconoscibile.

Google non rappresenta la Rete e non è più un motore di ricerca (Google Search, il motore che fa da filtro!). Non rappresenta la Rete perché ciò che mostra è ciò che è memorizzato dentro ai suoi server. Non è più un motore di ricerca perché personalizza tutti i risultati in base al profilo che si è fatto di ognuno di noi (Le risposte personalizzate di Google Search).

Internet non è quello che sembra. Noi la navighiamo affidandoci sempre più alle sue informazioni, applicazioni e soluzioni. In realtà dovremmo abitarla pensando alla quantità di Data Trash, dati spazzatura, che la caratterizzano, alle innumerevoli false notizie, falsi contenuti e minchioni vari di cui è piena (termine usato da Michele Serra al posto di follower).

I social network sembrano strumenti relazionali potenti e innovativi. In realtà stanno generando tanta solitudine personale, difficoltà di relazione e contatto umano, fuga dalla realtà e problemi mentali.

Il surplus cognitivo positivo generato dalla ricchezza della Rete va di pari passo con il sovraccarico informativo con cui facciamo fatica a convivere.

Viviamo da sempre in mondi paralleli ma oggi le molteplici Realtà Virtuali (Il mondo virtuale è reale come lo è quello fisico!) che hanno colonizzato le nostre vite rischiano di impedirci di vivere l’unica realtà che forse varrebbe la pena di essere vissuta.

Le tecnologie che ci regalano grandissime libertà e possibilità sono al tempo stesso usate per controllarci, sorvegliarci e dominarci, spesso a nostra insaputa e contro i nostri diritti e vantaggi.

Gli algoritmi che sembrano essere al nostro fianco per facilitarci e semplificarci la vita, le scelte e le decisioni, in realtà non sono semplici strumenti tecnici neutrali. Sono portatori di un progetto politico finalizzato a privarci di potere, libertà e forse di democrazia. Non possiamo più farne a meno e per questo dovremmo comprenderne la logica, i valori e il tipo di società che stanno promuovendo.

Robot, simbionti, umanoidi e macchine intelligenti ci stanno affiancando e aiutando in mille ambiti di vita quotidiana ma anche rubando posti di lavoro, non più solo manuali ma anche cognitivi.

Secondo lo scienziato Kurzweil ci stiamo incamminando verso l’era della singolarità tecnologica delle macchine, un’era nella quale l’accelerazione del progresso tecnologico sarà tale da diventare per noi incomprensibile e imprevedibile

Infine la tecnologia ci fa vivere in un continuo presente (Il tempo è solo presente: The Big Now!), un qui e ora fatto di tempo reale che ha cancellato il passato e reso superfluo il futuro, cancellato la storia e la consapevolezza di ciò che ci circonda. 

Per una riflessione critica e consapevole

Nativi o immigrati digitali, siamo tutti testimoni fortunati di un secolo speciale caratterizzato dalla rivoluzione digitale, da cambiamenti più importanti e profondi di quelli prodotti dalla rivoluzione industriale.

Cambiamenti che hanno però prodotto anche smarrimento, difficoltà di adattamento, surplus cognitivo e fatica digitale. Una fatica che interessa più gli immigrati dei nativi digitali.

Entrambi condividono però il bisogno molto umano di ricaricare le batterie fisiologiche e mentali, il bisogno di silenzio e di tattilità.

Tutti sentono il bisogno di rispecchiamenti diversi da quelli del display, di emozioni generate da incontri faccia a faccia e con entità fisiche come un libro, una bella fotografia stampata, un panorama osservato da una finestra o da un balcone di casa.

Riflettere sulla tecnologia e i suoi effetti non è una pratica comune, ma una riflessione ampia e allargata è diventata necessaria e dovrebbe coinvolgere tutti.

Oggi molti accettano la tecnologia senza porsi molte domande e dando per scontato che sia dalla loro parte, conveniente e vantaggiosa. Chi oggi come noi s'interroga sulla tecnologia è consapevole di essere testimone di una fase di transizione nella quale gli esseri umani stanno diventando più vulnerabili.

Le generazioni che verranno avranno forse la fortuna di evitare la preoccupazione, i dubbi, le ansie che caratterizzano le nostre generazioni. A noi forse non resta che augurarci un futuro nel quale gli umani che verranno non trattino gli umani come oggi molti di noi trattano gli animali.

Interrogarsi sulla tecnologia si può fare lanciando uno sguardo obliquo, diverso, quasi straniero su noi stessi intenti a interagire con il nostro dispositivo e ad abitare la Rete delle Reti. Uno sguardo da rafforzare, con un sano scetticismo, in modo da trasformare in buone pratiche comportamenti utili a valorizzare i benefici ma anche a evidenziare gli svantaggi e gli effetti del mondo tecnologico.

Inutile resistere alla rivoluzione digitale in corso, meglio elaborare strategie collaborative.

La tecnologia pone oggi sfide del tutto differenti rispetto al passato. Le nuove tecnologie hanno un ruolo chiave nella trasformazione delle nostre menti e desideri. Noi che possediamo menti e desideri contemporanei non siamo in grado di comprendere le implicazioni degli scenari emergenti.

Quando le nostre menti saranno reingegnerizzate l’Homo Sapiens, per come lo abbiamo conosciuto noi, scomparirà. Ciò che avverrà dopo non può essere compreso e forse neppure immaginato da persone come noi. Per questo forse è inutile resistere, meglio collaborare, aprirsi alle novità, sperimentare e adattarsi.

Tecnofobi o tecnofili?

Siamo tutti diventati degli smanettoni. Sempre connessi amiamo definirci tecnofili o tecnofobi. In realtà appartenere a una delle due categorie non è necessario e forse anche sbagliato.

E’ errato sposare acriticamente la volontà di potenza della tecnologia e la sua pervasività nelle vite personali. Sbagliato prendere posizione contro la tecnologia, come se fosse la sola responsabile di un mondo che ci spaventa e ci richiede sforzi continui di adattamento e cambiamento.

Meglio adottare un approccio diverso, finalizzato alla riflessione e alla consapevolezza.

Meglio diventare tecnocritici (80 identikit digitali, in formato e-book), per non fermarsi alle apparenze e alla semplice percezione. Farlo significa elaborare pensiero, lasciare lavorare il cervello analogico e continuare a porsi delle domande. Domande sui bisogni reali dei ragazzi tecnorapidi che noi vediamo condannati alla dipendenza tecnologica e in realtà sono alla ricerca di rapporti solidi e duraturi su cui fare affidamento. Domande sulla politica, la libertà del singolo e la democrazia, sul potere dei media e della pubblicità commerciale, sul controllo e la cittadinanza, e sul ruolo assunto dai grandi produttori tecnologici. 

Meglio diventare anche tecno-cinici, ostentando con atti e parole indifferenza, ironia e senso dell’umorismo verso le prospettive, le pretese, le promesse e le nuove mitologie associate alle nuove tecnologie. (Hai un iPad? So What?”). Il tecnocinico è un utilizzatore curioso ed empatico della tecnologia che non si lascia ingannare dai suoi valori, ritenendoli fallaci e pretenziosi. Con la sua connaturata ironia va alla ricerca dei valori veri e dei significati dei gadget tecnologici che utilizza, elaborando interpretazioni capaci di aprire la strada a opportunità e possibilità diverse da quelle imposte dalle narrazioni correnti.

Diventare tecnocritici e tecnocinici significa diventare consapevoli del ruolo che la tecnologia sta assumendo dotandosi di informazioni e conoscenze utili a diventare tecno-cittadini, tecno-vigili, tecno-creativi e, se serve, tecno-rivoluzionari.

 

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Parole chiave per comprendere la rivoluzione in atto

Per uscire dal ruolo di semplici utilizzatori della tecnologia è necessario comprendere in cosa consiste la rivoluzione tecnologica in atto. Un modo per farlo è impossessarsi del significato di alcune parole. Parole che conosciamo ma delle quali ci sfugge probabilmente il significato e il ruolo da esse giocato nel definire il panorama cognitivo del grande Matrix tecnologico nel quale siamo tutti immersi.

Punto di partenza per capire le rivoluzioni in corso è il termine di disruption. Un termine che descrive un fenomeno di rottura, di cambio di paradigma, capace di creare un corto circuito delle regole esistenti e di ristrutturare modalità d’azione e tipologie diverse di relazioni umane (un pensiero tratto dal libro di Ippolita Tecnologie del dominio). Pensate a Uber, ArrBnb, al Crowdsourcing, realtà che hanno prodotto una de-regolamentazione forzata.

Quando si parla di dati bisognerebbe sempre fare distinzione tra dati elementari, informazioni e conoscenze. I dati e le informazioni vanno oggi a riempire grandi contenitori distribuiti in una rete virtuale di macchine tra loro collegate nota come Cloud Computing. Il dato digitale non è mai grezzo ma sempre legato a una qualche forma di esperienza. Come tale è catturato, quando facciamo shopping, ma anche quando entriamo in una struttura ospedaliera o bancaria e usato per scopi commerciali, pubblicitari e politici. La facilità con cui i nostri dati sono catturati e usati richiama l’attenzione sul problema della privacy. L’attenzione dovrebbe invece spostarsi su come e quanto i dati, per come vengono usati,  stiano cambiando la nostra esperienza del mondo e distruggendo la nostra capacità critica in termini di percezione, attenzione e coscienza. Provate a pensare ai prodotti tecnologici indossabili. Stiamo passando dall’usare i sensi per percepire la realtà all’usare i dati che ci regala una applicazione per percepire mondo e contesti nei quali ci si muove. Il dato prodotto dalla macchina cambia la nostra sensibilità, percezione, esperienza del tempo ma anche la nostra dimensione identitaria. Siamo sempre più semplici profili algoritmici, guidati dai dati digitali che noi stessi produciamo.

Una parola a tutti nota ma alla quale si da scarsa importanza è software. Il software si sta divorando il mondo, lo sta plasmando. E’ più importante dell’hardware perché è un linguaggio, uno strumento di scrittura e documentazione. Presente dentro le nostre vite, in forme per lo più invisibili, sta disegnando e costruendo il nuovo modo di essere del nostro mondo. Lo guardiamo come oggetto complesso ma in realtà è diventato una specie di inconscio. Definisce i nuovi concetti astratti con cui guardiamo al mondo. E’ in continua evoluzione perché instabile, adattativo e discontinuo. Il cambiamento continuo e veloce trasforma il software in un fenomeno difficile da comprendere. E invece dovremmo comprenderlo per analizzare criticamente la sua immaterialità, intangibilità e presunta neutralità (La tecnologia non è mai stata neutrale. Ha sempre modificato la nostra relazione col mondo), sia per l’uso che pochi produttori mondiali ne fanno. (chi volesse approfondire questo tema può leggere il bel libro di Cosimo Accoto Il mondo dato: Cinque brevi lezioni di filosofia digitale).

Il software si traduce oggi in piattaforme e algoritmi. Le piattaforme sono quelle di Facebook, Amazon, Apple, Google e Microsoft ma anche Uber, AirBnb, ecc. Mondi apparentemente aperti ma in realtà chiusi. Chi abita Facebook pensa di essere in Internet in realtà è chiuso dentro i confini trumpiani di Facebook, ostaggio di logiche commerciali e capitalistiche, che vano a vantaggio di pochi proprio nel momento in cui predicano abbondanza e innovazione per tutti. È attraverso le piattaforme che si sta realizzando una vera e dirompente rivoluzione basata sulla scomparsa dei diritti e sull’avvento di nuove soluzioni legate alle piattaforme tecnologiche. Scompare lo stato con la sua sanità, mobilità, e sistema scolastico pubblici e si affermano i Signori del silicio e le loro piattaforme.

A far funzionare queste piattaforme sono gli algoritmi (Che cosa sognano gli algoritmi). Gli algoritmi sono come delle ricette di cucina, una serie di istruzioni utili per ottenere un risultato. Quelli tecnologici sono ovunque, nel nostro bagno, living e camera da letto. Sono sempre più invadenti e intelligenti grazie alla massa di dati a cui hanno accesso. Li stiamo programmando noi ma ora ci stanno plasmando, trasformando il nostro modo di pensare e le rappresentazioni che abbiamo di noi stessi e della realtà. Sono invincibili perché hanno accesso ai Big Data e alla potenza di calcolo del Cloud computing. Hanno limiti, ma a differenza dei nostri che sono fisiologici, psicologici ed emozionali, i loro sono solo computazionali e di potenza di calcolo. La potenza dell’algoritmo ci porta a pensare di poter fare affidamento su di loro per superare i nostri limiti. Così facendo accettiamo tutto per scontato, non ci interroghiamo sulla loro capacità di discriminare, di manipolare, di condizionare, di apprendere e di raccontare il mondo al posto nostro (Esseri umani, posti di lavoro e algoritmi).

Le interfacce sono ovunque, sui nostri display, nei bancomat e nelle nostre APP. Sono diventate lo strumento per interagire con le macchine e con cui percepiamo il mondo disegnando le modalità dell’interazione tra umani. Le interfacce sono così pervasive da essere diventate invisibili. In realtà sono sempre più presenti, più intelligenti e capaci di conversare, ad esempio nella forma di assistenti personali o maggiordomi digitali come Siri o Alexa o chatbot.

Oggi Internet non è solo la Rete degli umani. Esistono e si stanno moltiplicando anche le Reti delle cose o degli oggetti. Reti di dispositivi di uso comune, dal termostato al frigorifero, dalla bicicletta all’automobile, dotati di software, piattaforme ad hoc e algoritmi, della capacità di connettersi a un Hub Wi-Fi o a una rete, tra loro interconnessi e capaci di interagire ma anche di prendere decisioni al nostro posto, di parlarci e di coccolarci in ogni ambito della vita quotidiana. Il loro componente determinante è il sensore, un componente tecnologico che fa funzionare gli smartphone ma sta aggiungendo al nostro apparato sensoriale un nuovo senso, capace di cambiare la percezione della realtà regalandoci mondi nuovi, costruiti tecnologicamente.

Infine l’ultima parola chiave che richiede la nostra attenzione è Intelligenza Artificiale. Le intelligenze artificiali  odierne sono diverse da quelle del passato, sono fatte da tanti componenti intelligenti capaci di comunicare tra loro ma soprattutto di apprendere. Unite a macchine umanoidi, sempre più simili agli umani , stanno aiutando l’uomo nei lavori domestici, i chirurghi e i medici nelle sale operatorie e le aziende in mille processi e attività. In un futuro non lontano umani e umanoidi vivranno gli uni a fianco degli altri. Ma gli umanoidi potrebbero anche diventare capaci di scegliere, prendere decisioni e pensare  autonomamente. Speriamo anche di assumersi delle responsabilità nei nostri confronti.

La tecnologia non è più semplice mezzo  ma appare sempre più come un vero e proprio apparato che tende ad affermarsi secondo una propria logica.

 

A cosa dobbiamo prestare attenzione

I media e i mezzi di informazione sono focalizzati principalmente sulle notizie che riguardano prodotti, applicazioni, piattaforme,  novità e vicende legate ai loro produttori.

Catturati dal chiacchiericcio conformistico che accompagna l’esaltazione politicamente corretta della tecnologia siamo più interessati ad apparire e al Chi Sono/Chi sei digitale piuttosto che al che cosa si conosce e agli effetti della delega in bianco che abbiamo dato ai Signori del Silicio.

A nessuno piace essere massa ma tutti lo siamo diventati.

Un modo per non esserlo è riconquistare la capacità di elaborare pensiero, riconquistare spazi di libertà, aprirsi al pensiero lento del nostro cervello, focalizzare l’attenzione su qualcosa di diverso da un display e nel farlo riflettere sui nostri stili di vita e modi di interagire con il mondo attraverso la tecnologia.

Tra i temi a cui prestare attenzione ci sono:

  • il ruolo che i display e le immagini in essi riflesse hanno assunto nella nostra vita,
  • come sono cambiate le relazioni sociali al tempo dei social network, come vivere la nostra identità e unicità (Crescere tecnologicamente allacciati, insieme ma soli! Lo racconta Sherry Turkle.)
  • l’urgenza di imparare a programmare le nostre vite per non essere programmati,
  • quali siano le implicazioni culturali, politiche e democratiche,
  • il ruolo dell’automazione e delle intelligenze artificiali nel mondo del lavoro che verrà,
  • il prevalere del cervello aumentato tecnologicamente,
  • il proliferare di false notizie che portano alla disinformazione organizzata e alla misinformazione,
  • la perdita della capacità di leggere e le nuove forme di apprendimento.

Focalizzati alcuni degli ambiti di riflessione è importante elaborare alcune strategie di difesa da adottare.

Display dal magnetismo magico e irresistibile

La tecnologia ci regala così tante comodità, velocità, automazione, facilità di comunicare e di vivere da essere diventata irresistibile e da inibire qualsiasi freno o resistenza nei suoi confronti. E’ una irresistibilità determinata anche dai trucchi di chi la produce e che determina dipendenze comportamentali sulle quali una riflessione è diventata sempre più urgente e necessaria.

Il display è lo strumento e il paradigma dell'irresistibilità della tecnologia. Un display che è molto più di un semplice schermo. E’ una finestra e una vetrina, cattura con il suo magnetismo emozionale, tiene prigioniero lo sguardo, imprigiona l’attenzione, ruba il nostro tempo, ci tenta in continuazione e determina nuove dipendenze che possono diventare ossessioni e compulsioni.

Il display trasforma le immagini in simulacri, entità digitali e mediali che vivono di vita propria, proliferano al di fuori del controllo di chi le ha generate e in certi casi finiscono per diventare più viventi dell’originale. Dentro il display anche le nostre vite sono semplici simulacri, rappresentazioni algoritmiche e digitali costantemente impegnate in un gioco di apparenza e narrazione.

Il display trasforma la percezione della realtà e la sua rappresentazione. Più che il valore di un oggetto conta la sua esposizione. Il suo valore in sé non ha significato, vale ciò che viene visto, visualizzato. Se non è visibile o visto non esiste. Nel regno della visibilità governato dal display anche il nostro volto umano scompare, sostituito da facce, trasparenti come lo sono le superfici sulle quali vengono fatte scorrere da dita fameliche alla costante ricerca di novità. Il nostro volto parla, la faccia è una specie di oggetto pubblicitario che usiamo per farci vedere all’esterno. Spesso in modo pornografico, denudato ed esposto.

Il display aspira a sostituirsi allo sguardo degli occhi sul mondo ma non può essere lo specchio della realtà. Può però diventare uno strumento potente di comprensione e consapevolezza. Per riuscirci bisogna uscire dallo schermo o spostare lo sguardo al di fuori delle sue cornici, là dove probabilmente si trova la realtà vera, quella che oggi è per molti diventata un deserto dal quale fuggire rifugiandosi dentro un display.

 

Relazioni sociali al tempo dei social

Il social network è il paradigma del modo in cui la tecnologia ci sta cambiando come persone e come stia plasmando la nostra mente. Senza rendersene conto miliardi di individui si sono  trasformati in tanti pesci dentro un acquario (Voliere e acquari di Facebook per uccellini e pesciolini in gabbia!), regalando il loro privato e la loro intimità a piattaforme come Facebook. Tutti gli spazi di social networking sono aquari e voliere che hanno dato vita a mondi apparentemente aperti, ma in realtà molto chiusi e controllati.

I loro confini sono trasparenti ma invalicabili. Hanno trasformato i loro abitanti in prede di predatori esterni che li usano per scopi di guadagno e commerciali e di predatori interni, insidiosi perché voraci. Capaci di trarre vantaggio dalla vulnerabilità e dalla trasparenza, dall'inconsapevolezza e dalla superficialità.

Parliamo di abitanti trasformati in una massa sempre mobilitata in azioni prevalentemente consumistiche, tutti contenti di far parte insieme ad altri di panottici o caverne platoniche dalle quali non si vuole uscire per paura di scoprire che la realtà esterna è peggiore di quella proiettata sulle pareti. Al caldo di queste caverne si crede alla favola delle reti di amici, della gratuità e libertà, del valore della trasparenza e della condivisione. Si cede al richiamo alla mobilitazione costante e alle tante bugie messe in circolazione e che si contribuisce a far circolare e alimentare. Nella realtà siamo sempre più soli e isolati, paghiamo prezzi elevati, in termini di trasparenza, perdita della privacy e servitù volontaria, che si manifesta anche nella vita fuori dalla Rete. Siamo corresponsabili di una mutazione antropologica operata da media tecnologici potenti che stanno clonando il nostro vissuto sostituendolo con un acquario nel quale tutti possono vivere felici e contenti perché alimentati, rassicurati, coccolati e corteggiati. A patto che non si metta in discussione il manovratore di turno.

La presa di coscienza e la responsabilizzazione che ci deve essere non è solo legata alla propria condizione antropologica attuale ma all’apparato tecnologico che ci governa e colonizza la mente in modo irresistibile. Alla chiamata del telefonino si risponde sempre!

Un altro elemento su cui riflettere è quello della fiducia. Mentre viviamo tempi nei quali è crollata la fiducia nelle istituzioni, le banche, i media e I partiti, sta emergendo un nuovo modo di vivere la fiducia. Viene ritirata ai leader e alla classe dirigente e viene ceduta a perfetti sconosciuti e persino ad algoritmi e robot (CGIL, Uber, Robot e algoritmi vari). E’ una fiducia che non è più locale ma globalizzata e distribuita. Una grande opportunità ma al tempo stesso un grandissimo pericolo. Soprattutto se non si conoscono i meccanismi sui quali questa fiducia digitale si regge e che definiscono le modalità stesse con cui la fiducia si costruisce, si coltiva, si perde e si ritrova nell’era digitale.

Infine come ha ben raccontato Sherry Turkle nel suo ultimo libro La conversazione necessaria i social network stanno modificando il linguaggio e facendo calare le conversazioni. Si parla molto ma si messaggia di più. Quando si conversa lo si fa sempre con gli occhi puntati sul display dello smartphone e l’orecchio teso ad ogni segnalazione elettronica. Peccato che per sapere amare, capire chi siamo e chi ci circonda, per crescere dobbiamo saper conversare, faccia a faccia, con empatia, imparando a convivere e a sopportare le nostre solitudini e inquietudini quotidiane così come a capire quelle degli altri (Io,Io, Io, Io, Io, Io, Io, Io, Io Io, Io, Io....sono solo! ).

 

Stiamo per essere riprogrammati?

Nel corso della nostra evoluzione abbiamo imparato a parlare, a leggere e a scrivere, nel mondo digitale di oggi dobbiamo imparare a programmare. Per non diventare semplicemente un software, un profilo digitale dobbiamo imparare a creare software, a programmare per non essere programmati (sul tema da leggere il libro di Douglas Rushkoff Programma o sarai programmato).

Non si tratta di apprendere i linguaggi con cui oggi sono create applicazioni e soluzioni ma di comprendere come le tecnologie stanno plasmando il mondo e che lo stanno facendo con o senza la nostra collaborazione. Stiamo tutti partecipando alla definizione di una nuova matrice evolutiva, il design e i modelli del nostro futuro collettivo.

Possiamo partecipare passivamente, soggiacendo alla forza del marketing e della viralità della Rete oppure possiamo premere il tasto PAUSA, evitare reazioni automatiche, riflettere in profondità sulle caratteristiche delle tecnologie e l’integrazione dei nuovi strumenti tecnologici nella vita quotidiana di ogni giorno. Senza questa riflessione e un passo diverso rischiamo di ottimizzare noi stessi rispetto alle macchine e di farci programmare, non soltanto nel nostro lavoro e nella nostra vita ma anche nel nostro pensiero.

Solo comprendendo appieno le caratteristiche insite nei mezzi di comunicazione tramite cui ci relazioniamo al mondo potremo renderci conto della differenza tra quel che intendiamo fare e quel che invece le machine vorrebbero farci fare. Il rischio è di farci programmare da qualcun altro.

Mettersi a riflettere sulle propensioni  e pretese di una tecnologia non è da stupidi ma una sana reazione di autodifesa, significa resistere all’offuscamento dei nostri sensi e dei nostri pensieri, costantemente operato per portarci a un livello basso di consapevolezza.

Abbiamo lasciato l’evoluzione di una nuova epoca tecnologica nelle mani di una piccola elite che si affida al nostro disinteresse. Le nuove tecnologie non sono più semplici prodotti ma sistemi, piattaforme e apparati che agiscono con uno scopo preciso. Se non sappiamo come funzionano, non potremo neppure sapere cosa vogliono.

Per non farsi programmare non è necessario imparare a scrivere codice software. Bisogna cambiare comportamenti e modi di pensare. Ad esempio evitare di essere sempre connessi, vivere gli sazi senza intermediazioni tecnologiche, imparare a scegliere di non scegliere disobbedendo alla logica binaria della tecnologia e alla schiavitù del MiPiace, pensare che la realtà è molto più complessa dei mondi online e che non tutto è informazione, difendere la diversità rimanendo sé stessi e non svendere gli amici per un semplice MiPiace.

Controllo e sorveglianza

Controllo e sorveglianza sono due aspetti della pervasività tecnologica attuale. Sono resi possibili da piattaforme digitali, idrovore potenti e bulimiche, capaci di seguire ovunque le nostre tracce lasciate con i dispositivi tecnologici. Vogliono i nostri dati e le nostre informazioni in cambio di benefici declinati in gratuità, abbondanza, prosperità e innovazione. I benefici e i vantaggi sono però tutti da vedere, soprattutto non sono uguali per tutti. Nel frattempo siamo tutti diventati tracciabili e facilmente raggiungibili ovunque ma anche grandemente influenzabili.

La verità vera è che la privacy non esiste più!

Siamo cavie inconsapevoli di un nuovo tipo di panottico che si regge sulla facilità e velocità con cui vengono procurate le informazioni. Il controllo è reso possibile dalla interconnessione e comunicazione di tutte le cellule tra di loro (Il panottico digitale delle anime elettriche dei social network). Chi lo abita non si sente prigioniero, vive nell’illusione della libertà, nutre lui stesso la sua prigione, esponendo e illuminando sé stesso.

E’ un'esposizione narcisistica, egotica e pornografica. Nessuno è obbligato a esporsi, ma lo si fa per un bisogno interiore. Più che la paura di perdere la propria intimità e sfera privata, pesa la paura di non essere visibili e raggiungibili.

In questo modo tutti possono essere potenzialmente dei grandi fratelli. Ciascuno osserva e sorveglia chiunque altro. Ci si lascia felicemente spiare da Google, Facebook e Amazon, dalle aziende per le quali lavoriamo, da Esselunga o la COOP, dalle banche e dalle assicurazioni. Si è accettato che la FIDUCIA si sia trasformata in CONTROLLO. Gli algoritmi usati dai servizi segreti sono gli stessi di quelli usati per finalità economiche e commerciali e con l’affermarsi delle Internet degli Oggetti e delle tecnologie RFID il controllo sarà diffuso ben oltre la realtà digitale e online. Chi si doterà in futuro di un Google Glass avrà trasformato i suoi occhi in potenziali videocamere di sorveglianza e il guardare in sorvegliare. Una realtà nella quale tutti saranno Grandi Fratelli e prigionieri allo stesso tempo.

Senza saperlo ma con qualche responsabilità personale siamo fregati due volte. La prima quando cediamo i nostri dati in cambio di servizi banali come Facebook o Twitter. La seconda quando questi dati sono usati per sorvegliarci e controllarci, per personalizzare e strutturare il nostro mondo in modo tale da apparire trasparente e desiderabile anche se non lo è.

Nel nome della trasparenza intorno a noi è stato posato un lungo filo spinato che, come quello di Garabombo e i suoi amici Incas, ma in forma digitale, sta delimitando tutti i confini, impedendo movimenti liberi e imponendo a tutti crescenti controlli e sorveglianza.

Perso il diritto alla privacy stiamo perdendo anche la libertà di nascondere o nasconderci. Chi ci prova viene criticato per agire contro le leggi del mercato e del libero scambio e come potenzialmente pericoloso per la sicurezza nazionale. Criticare porta a immediate accuse di tecnofobia come se criticare non fosse un diritto politico di ogni cittadino. La critica non viene accettata perché non è rivolta alla tecnologia ma all’uso che ne viene fatto da parte dei vari potentati economici e politici.

Unica soluzione al problema della perdita della privacy sta nell’attivismo politico e in scelte individuali da cittadini consapevoli e capaci di mettere in discussione poteri e ideologie dominanti.

Automazione e avvento delle macchine

Le nuove tecnologie che indossiamo e ci portiamo appresso ci hanno reso tutti superumani. Siamo stati in qualche modo automatizzati. Ma non ci facciamo caso, non ci pensiamo, ce ne rendiamo conto solo quando qualcosa non funziona o quando per qualche motivo ci prendiamo una pausa per riflettere.

Sull’automazione però andrebbe fatta una riflessione seria perché si sta mangiando, in silenzio e rapidamente, migliaia di posti di lavoro, sia manuali sia cognitivi. Lavori nella logistica (pensate ad Amazon), nella mobilità (pensate a Tesla che sta sperimentando i TIR senza autista), nel servizio al cliente (agenti cognitivi impiegati nelle aziende al posto di portieri, segretarie e assistenti tecnici), nei servizi alla persona (pensate a robot per l’assistenza agli anziani e domiciliare), in campo militare (non solo droni), nella medicina con l’intelligenza artificiale Watson di IBM, nelle attività professionali del sesso (pensate alle varie bambole - e bambolotti - umanoidi già oggi in vendita in numerosi sexy shop - La tecnologia si prepara a cambiare la nostra vita intima, amorosa e sessuale)

L’automazione sta crescendo più velocemente di quanto ci rendiamo conto ponendo problemi nuovi legati alla sparizione del lavoro. Problemi come il reddito minimo, il tempo libero, con effetti politici, diminuzione di salari che ci impongono di interrogarci su cosa conosciamo su ciò che sta accadendo e su come operano le nuove tecnologie per l’automazione, caratterizzate da intelligenze artificiali e capacità di apprendimento.

Il cervello aumentato, l’uomo diminuito

Le neuroscienze, grazie all’aiuto delle nuove tecnologie di imaging, ci mostrano come il cervello funziona. La tecnologia ci racconta la storia di un cervello che può essere aumentato a dismisura rendendo tutto possibile, ad esempio operare indipendentemente dal corpo, attraverso una esternalizzazione che ne prolunghi la memoria e la durata.

Il cervello che è servito a conoscere, studiare,  spiegare le cose e comprenderle oggi studia sé stesso. Dopo avere inventato e creato le macchine oggi studia sé stesso come se fosse un computer. Lo fa con un approccio riduzionista che ignora la complessità dell’organismo umano che va oltre il componente cervello. Così facendo però si rischia di associare l’amore, la ricerca della libertà a semplici processi neuronali e fisiologici e di distruggere e frantumare il soggetto umano.

La tecnologia gioca un ruolo fondamentale nel partecipare alla costruzione di un cervello aumentato, ibridato con sensori, computer e software vari. Questa ibridazione incanta, promette soluzioni a malattie incurabili come far vedere i non vedenti, guidare le auto con il pensiero, curare momenti depressivi e governare la coscienza. L’ibridazione si esprime con protesi come gli smartphone, con strumenti di realtà virtuale come Oculus Rift, sensori e prodotti tecnologici indossabili e ci lascia intravede possibilità incredibili come quella di potere un domani fare il download dei nostri ricordi su una chiavetta USB per poi caricarli altrove o riutilizzarli nel futuro.

In tutto questo si dà per scontato che la colonizzazione del cervello così come della vita e della cultura da parte delle macchine sia irreversibile (Solo la rinascita di una cultura veramente razionale permetterà il superamento della crisi attuale).

Al contrario bisognerebbe ricercare e sviluppare modalità di ibridazione utili a mantenere il controllo umano sulla tecnologia. Il cervello da solo non esiste e non funziona. Sta dentro un corpo e occupa ecosistemi. Non possiamo studiarlo come una macchina ma nelle sue interazioni multiple e complesse. (su questi argomenti suggerisco il libro di Miguel Benasayag dal titolo Il cervello aumentato, e l'uomo diminuito e da me usato per la presentazione). 

stati uniti

Disinformazione e misinformazione

Tanti si preoccupano delle cosiddette Fake News (Raccontare la realtà non è cosa semplice) ma pochi probabilmente hanno analizzato il ruolo che essi stessi hanno nel determinarne la loro diffusione e viralità. Soprattutto dopo che i social network hanno cambiato la disinformazione di Internet.

Se il 50% di italiani giovani e acculturati rimane vittima di false notizie significa che questa disinformazione ha fatto un salto di qualità. Le persone sembrano sempre più interessate a consumare informazione, soprattutto quella conforme alla loro visione del mondo, anche quando questa informazione è dimostrabile come false.

Un grande problema in un periodo nel quale una parte ormai consistente dell’informazione disponibile non è più affidabile. A rischio è la stessa democrazia. La responsabilità individuale è grande. Tutto nasce dalla facilità con cui una semplice ricerca Internet trasforma tutti in super-esperti. Le famose legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino senza danneggiare l’umanità e che oggi contribuiscono a diffondere false notizie e false conoscenze.. Come diceva Eco Internet ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità.

Più che prestare attenzione alla false notizie in sé sarebbe meglio cercare di comprenderne i meccanismi di diffusione online: meccanismi e dinamiche non diversi da quelli della vita offline anche se la rete ne amplifica la portata e gli effetti. Ne derivano pericoli condivisi legati alla formazione della conoscenza, all’acquisizione delle informazioni, alla formazione dell’opinione pubblica, alla potenziale strumentalizzazione politica e commerciale e all’aggregazione intorno a narrazioni simili con persone che la pensano allo stesso modo.

Più che era dell’informazione stiamo forse vivendo quella della disinformazione globale dai risultati a oggi ancora poco prevedibili. Certamente potremmo concordare sul fatto che “Il web senza la necessaria maturità è come aver dato la bomba atomica alle scimmie”.

Il vuoto di conoscenza che si crea nell’uso strumentale del Web determina un appiattimento e una disinformazione che non si possono combattere con la verifica continuativa e puntuale dei fatti. Una attività che pochi fanno e che comunque non è sufficiente.

Ciò che serve realmente é uno sforzo collettivo mirato alla formazione di un pensiero complesso, analitico e consapevole.  Bisogna diventare tecno-consapevoli e abitare Internet non per confermare le nostre idee del mondo ma per rifiutare il conformismo e il confort, per ascoltare gli altri, per coinvolgere le persone che non la pensano come noi e costruire con loro conversazioni e dialoghi utili alla falsificazione e verifica dei fatti.

Lettura e apprendimento

Da piccolo in casa mia non c’era neppure un libro, oggi ne posseggo migliaia, molti dei quali letti e riletti.

Ho iniziato a leggere grazie alle figlie del direttore della mia scuola che mi regalarono quindici libri per ragazzi. Libri che leggevo in camera con la candela accesa, quando mio padre per risparmiare mi portava via la lampadina del lampadario.

Oggi nel Metro di Milano 9 persone su 10 giocano con il loro smartphone. Non telefonano, non parlano, continuano a scrivere, navigano ma non leggono, oppure leggono in modo superficiale e prevalentemente visivo.

Secondo Maryanne Wolf, l’autrice di Proust e il calamaro noi non siamo nati per leggere ma grazie alla plasticità del nostro cervello possiamo imparare a farlo, creare nuovi collegamenti tra strutture e circuiti neuronali, ma soprattutto produrre nuovi pensieri plasmando la nostra cultura e il nostro stesso cervello.

È probabile che stiamo plasmando il nostro cervello in forme diverse, grazie alle nuove pratiche legate all’informazione e alla comunicazione. Grazie a Google o a Wikipedia tutti possiamo diventare esperti virtualmente di ogni cosa. Il prevalere dell’immagine sul testo sta probabilmente cambiando la testa dei nativi digitali e riorganizzando il loro cervello in modo diverso.

A noi non rimane che porci delle domande sulle perdite e sui guadagni dei fenomeni a cui stiamo assistendo, sulle nuove forme di apprendimento e di sapere, così come sulla capacità dei ragazzi che non leggono a imparare ciò che chi legge ha imparato, andare oltre il testo, elaborare pensieri e pensare a sé.

Ciò di cui possiamo essere quasi certi è che noi adulti stiamo forse perdendo il controllo su come e quanto apprenderanno le nuove generazioni……

 

Strategie di difesa

La realtà tecnologica nella quale viviamo può essere vista come un Matrix dal quale è diventato impossibile fuggire. Non siamo ancora stati trasformati in corpi prodotti dalle macchine ma i nostri profili digitali agiscono come algoritmi e protesi virtuali dentro una realtà controllata, sorvegliata, resa completamente trasparente dalla assoluta visibilità dei dati che ci descrivono online e offline. Ribellarsi è diventato inutile e forse controproducente. Non rimane che resistere con pazienza, perseveranza ma anche con qualche forma intelligente di strategia.

Se Google personalizza le sue informazioni personalizzandole in base alle conoscenze che ha di noi, se Facebook ci ha convinti della bontà dell’assoluta trasparenza dei nostri profili e Amazon delle sue esperienze di acquisto come se fossero libere e determinate da noi, l’unica reazione possibile consiste forse nel far perdere le tracce e rendere difficile capire chi realmente noi siamo.

Ci si può cancellare da tutto, scomparire, rientrare nel mondo analogico e online senza alcuna connessione. Ma si può anche usare la tecnologia per farlo e adottare tecniche di resistenza diverse!

La difesa è necessaria perché il potere è asimmetrico. Quasi mai siamo a conoscenza dei meccanismi attivati per spiarci e quasi mai abbiamo la possibilità di sganciarci o impedirlo. Non possiamo fare a meno di produrre dati e informazioni che poi rimangono in movimento continuo e per sempre. Non ne conosciamo l’uso manipolatorio e predittivo che ne viene fatto.

In un libro ricco di suggerimenti due autori francesi ( Finn Barton, Helen Nissenbaum - Offuscamento. Manuale di difesa della privacy e della protesta) suggeriscono la tattica dell’offuscamento da praticarsi per celare e camuffare le nostre informazioni o per renderle ambigue, ingannevoli, e difficilmente comprensibili.

E’ una strategia da avversari che si ritengono deboli, da vietcong del terzo millennio impegnati in una guerra digitale. I vietcong costruivano tunnel labirintici, noi oggi possiamo costruire profili multipli e fasulli, sfumare i contorni, seppellire gli account di Twitter e facebook di falsi messaggi, usare applicazioni come TrackMeNot che servono a nascondere le informazioni geostazionarie. Assumere identità di gruppo, produrre quantità enormi di documentazione, attivare i plug-in dei browser per bloccare pubblicità e promozioni, cambiare SIM frequentemente, scambiarsi le tessere fedeltà, praticare la disinformazione continua.

Meglio sarebbe poter fare appello a leggi in tutela della privacy, a categorie etiche condivise. In loro assenza bisognerebbe impegnarsi politicamente e ribellarsi come cittadini, cosa che sembra non siamo più abituati a fare, essendo l’astensione la forma più radicale di ribellione corrente.    

    

  

Una bibliografia per tecnovigili e tecno-consapevoli

Alcuni testi chiave attuali:

 

 


* Tutte le immagini sono scatti e impressioni di viaggio di Carlo Mazzucchelli (USA, Tibet, Mongolia, Bhutan, Alaska, ecc.)

 

 

 

 

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